Promised Land L’atteso ultimo gioiello di Gus Van Sant presentato di recente a Berlino 63
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Nella vicenda narrata dagli sceneggiatori Matt Damon e John Krasinski, che ne sono altresì due tra gli interpreti principali, il miraggio brandito è il gas naturale che la Global, una “big corp” del valore di 9 miliardi di dollari, vuole estrarre fratturando le rocce scistoidi di cui è composto il sottosuolo della zona attorno a McKinley, una cittadina immaginaria ma in cui è ben riconoscibile l’America rurale che rappresenta il profondo ventre a stelle e strisce. Steve Butler (Damon) è un giovanotto proveniente dall’Iowa, uno degli stati del corn belt, il granaio USA, che ha lasciato la terra di origine dopo averne visto l’inesorabile declino economico e ha fatto carriera come agente di vendita. I boss dell’azienda gli assegnano quindi il compito di strappare favorevoli concessioni agli agricoltori immiseriti dalla crisi, in cambio di mirabolanti quanto aleatorie percentuali sui futuri ricavi della produzione di gas. Tutto bene, dunque? Non proprio.
Infatti, sembra che il procedimento estrattivo, detto “fracking”, non sia del tutto salubre per l’ambiente circostante: i prodotti chimici utilizzati rischiano di contaminare le falde acquifere e contaminare i terreni… La missione di Butler, affiancato da una più esperta ma meno entusiasta collega (la sempre bravissima Frances McDormand), è proprio di persuadere gli abitanti di McKinley che i rischi sono irrisori se paragonati al denaro facile che potrebbero ricavarne. Ma si dovrà scontrare con gli esponenti più sensibili e saggi (in primis un insegnante di liceo interpretato dall’ultraottantenne Hal Holbrook) della comunità locale, che vogliono pensarci bene prima di recidere del tutto le radici che li legano a quel territorio.
Promised Land, recentemente presentato in Concorso a Berlino 63, racconta una storia che parla di tutti noi, non solo di chi, come i protagonisti del film, è direttamente colpito dalle spietate logiche commerciali che vigono negli Stati Uniti. Una storia intensa, ottimamente interpretata da un gruppo formato da grandi star, attori di secondo piano e comparse prese dalla location in cui si è girato, amalgamati dalla sapiente mano di Gus Van Sant. E pazienza se qualcuno storcerà la bocca per un paio di snodi di sceneggiatura non del tutto risolti, o per il reato di essere politically correct: meglio prendersi qualche rischio parlando di cose importanti che rimestare nei consueti pentoloni di temi innocui, mentre attorno a noi il mondo rischia di crollare a causa della cupidigia di affaristi senza scrupoli.
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