Pensioni in Italia mobilitazione 25 ottobre percorso sindacale contro promesse non mantenute

stato attuale e criticità del sistema pensionistico italiano
Il sistema pensionistico italiano si trova oggi ad affrontare una realtà complessa e insoddisfacente, nonostante le numerose promesse di riforma e superamento della legge Monti-Fornero. Negli ultimi anni, le misure adottate non solo non hanno migliorato le condizioni dei lavoratori, ma secondo la CGIL hanno addirittura aggravato la situazione, con un irrigidimento delle norme e un progressivo impoverimento del potere d’acquisto dei futuri pensionati.
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La persistente rigidità del sistema implica che i lavoratori siano costretti a rinviare sempre più l’uscita dal mercato del lavoro, spesso in assenza di strumenti efficaci per una flessibilità reale. Questo meccanismo si traduce in trattamenti pensionistici meno vantaggiosi e in una crescente disparità tra chi può usufruire di forme di pensionamento anticipato e chi, invece, ne è escluso.
Le criticità riguardano anche i lavoratori più giovani, che, rientrando completamente nell’attuale sistema contributivo, rischiano di vedersi negata la possibilità di un pensionamento dignitoso entro tempi ragionevoli. La soglia di accesso alla pensione anticipata si alza sensibilmente, penalizzando soprattutto categorie fragili come donne e lavoratori precari, facendo emergere un quadro di forte disuguaglianza e difficoltà strutturali.
requisiti più rigidi e flessibilità pensionistica ridotta
Negli ultimi anni, la flessibilità in uscita dal lavoro ha subito un drastico ridimensionamento, compromettendo la possibilità di anticipare il pensionamento senza gravi penalizzazioni. Con la fine di Quota 103, APE Sociale e Opzione Donna, si è registrata una netta cancellazione delle misure che rappresentavano strumenti di uscita anticipata, seppur limitata, per molte categorie di lavoratori.
Quota 103, che consentiva il pensionamento con almeno 62 anni d’età e 41 di contributi, verrà meno, e per coloro che ne avevano usufruito si è già imposto un ricalcolo contributivo dell’assegno che comporta significative riduzioni.
L’APE Sociale resiste, ma con un innalzamento del requisito anagrafico, passando da 63 anni a 63 anni e 5 mesi, mentre Opzione Donna, una delle poche agevolazioni per le lavoratrici, è stata di fatto eliminata.
In termini concreti, queste modifiche indicano un progressivo arretramento delle tutele, con la flessibilità d’uscita che diventa sempre più un privilegio riservato a poche situazioni specifiche.
conseguenze economiche sui pensionati e mobilitazione sindacale
Le conseguenze economiche che gravano sui pensionati e sui futuri beneficiari del sistema pensionistico sono sempre più evidenti e preoccupanti. A partire dal 2025, l’entrata in vigore di nuovi coefficienti di trasformazione riduce significativamente l’importo degli assegni pensionistici, penalizzando ulteriormente chi andrà in pensione in futuro. Questi coefficienti, calcolati in base all’età di uscita e ai contributi versati, determinano una riduzione dell’assegno che si estenderà anche negli anni successivi, aggravando una tendenza già in atto.
Parallelamente, le modifiche retroattive applicate alle pensioni anticipate dei dipendenti pubblici, attraverso la revisione delle aliquote di rendimento nelle gestioni CPDEL, CPS, CPUG e CPI, rappresentano un ulteriore colpo per migliaia di lavoratori che vedono un taglio sostanziale ai propri diritti previdenziali accumulati dopo decenni di servizio.
Una questione annosa e irrisolta riguarda il pagamento ritardato del TFS/TFR per il personale pubblico. Nonostante l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 130/2023, non sono stati adottati provvedimenti tempestivi dal Governo. I ritardi, che possono arrivare fino a sette anni, comportano perdite economiche ingenti per i lavoratori, stimabili in circa 20 mila euro su una somma di 100 mila euro di TFS/TFR, a causa dell’effetto svalutativo e finanziario dei lunghi tempi di attesa.
Per chi è già in pensione, la situazione non migliora: il biennio 2023-2024 ha visto una riduzione sostanziale della rivalutazione degli assegni, con un deficit complessivo stimato intorno ai 60 miliardi di euro. Questa perdita, definita “non recuperabile” dalla CGIL, incide pesantemente sul potere d’acquisto dei pensionati, solo nella fascia intorno ai 1.700 euro mensili comportando una perdita stimata fino a 9.000 euro in due anni, peggiorando il tenore di vita e alimentando un disagio economico crescente.
È in questo contesto che la CGIL ha convocato una mobilitazione nazionale per il 25 ottobre, con l’obiettivo di sollecitare un cambiamento urgente e radicale delle politiche pensionistiche italiane. La protesta punta a denunciare l’ingiustizia di un sistema che costringe i lavoratori a lavorare oltre il consentito e a percepire assegni incompatibili con una vita dignitosa, oltre a richiedere interventi precisi per garantire flessibilità, equità e tutela per tutte le categorie produttive.