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Pensione di vecchiaia obbligatoria dal 2026 con la fine dell’assegno sociale in Italia

  • Redazione Assodigitale
  • 23 Agosto 2025
Pensione di vecchiaia obbligatoria dal 2026 con la fine dell’assegno sociale in Italia

Pensione di vecchiaia a 64 anni per tutti dal 2026

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Dal 2026 è prevista una svolta significativa nel sistema pensionistico italiano: la possibilità di accedere alla pensione di vecchiaia a 64 anni sarà estesa a tutti i lavoratori, superando le attuali discriminazioni tra diverse categorie contributive. Questo cambiamento, orientato all’equiparazione delle regole tra sistemi contributivi, misti e retributivi, rappresenta un elemento chiave per garantire maggiore equità e uniformità nelle prestazioni previdenziali, eliminando differenze che oggi penalizzano coloro che hanno versato contributi prima del 1996.

 

Indice dei Contenuti:
  • Pensione di vecchiaia obbligatoria dal 2026 con la fine dell’assegno sociale in Italia
  • Pensione di vecchiaia a 64 anni per tutti dal 2026
  • Disparità pensionistiche e interventi della Consulta
  • Addio all’assegno sociale: nuovi diritti e requisiti pensionistici


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Attualmente l’accesso anticipato a 64 anni è riservato esclusivamente ai lavoratori rientranti nel sistema contributivo puro. Chi, invece, ha versato contributi in epoca anteriore al 31 dicembre 1995 non può beneficiare di questa possibilità e deve attendere regole più stringenti, spesso con requisiti più gravosi. La proposta in discussione mira a superare questo limite, consentendo l’accesso alla pensione a 64 anni anche ai cosiddetti lavoratori “misti”, che hanno quindi un periodo contributivo precedente al 1996 e successivo, eliminando così disparità storiche tra categorie.

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La piena equiparazione normativa tra i diversi regimi contributivi rappresenta un cambiamento strutturale del sistema previdenziale. Ciò significa che non solo sarà garantita la stessa età pensionabile, ma sarà anche valorizzata in modo uniforme tutta la contribuzione versata, a prescindere dalla data di inizio degli accrediti contributivi. In prospettiva, l’armonizzazione totale delle regole potrà favorire una più efficace generazione di pensionati entro limiti d’età più contenuti rispetto all’attuale soglia minima di 67 anni. Questa modifica costituisce un passo avanti verso un sistema previdenziale più trasparente e giusto per tutti.

Disparità pensionistiche e interventi della Consulta

Le disparità nelle regole pensionistiche rappresentano una criticità di lunga data nel sistema previdenziale italiano. La differenziazione tra lavoratori con versamenti precedenti e successivi al 1996 ha creato situazioni di disparità spesso difficili da giustificare. In particolare, chi rientra nel sistema misto o retributivo vede limitate le proprie possibilità di accesso anticipato e di valorizzazione uniforme dei contributi versati.

La Corte Costituzionale è intervenuta più volte su questo tema, con sentenze che hanno denunciato l’incostituzionalità di norme che penalizzano alcune categorie, come gli invalidi iscritti al sistema contributivo puro. La Consulta ha stabilito che anche questi lavoratori debbano avere diritto a maggiorazioni e integrazioni al trattamento minimo, equiparando così i diritti previdenziali a quelli degli altri pensionati.

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Queste pronunce indicano chiaramente la necessità di una revisione profonda del sistema, al fine di eliminare le incoerenze normative e favorire un trattamento uniforme per tutti i lavoratori. L’intervento della Consulta configura infatti un’istanza di giustizia sociale e di equità, che si riflette nelle proposte di legge attualmente in discussione per armonizzare i requisiti pensionistici. Una volta realizzata questa uniformità, sarà possibile garantire maggiore tutela e diritti per tutte le categorie, riducendo le differenze che oggi rappresentano un ostacolo insormontabile per molti contribuenti.

Addio all’assegno sociale: nuovi diritti e requisiti pensionistici

Il superamento dell’assegno sociale rappresenta una delle principali innovazioni previste con le nuove riforme pensionistiche in discussione. Attualmente, chi non raggiunge i requisiti minimi di contribuzione—venti anni a 67 anni di età—e non consegue una pensione di importo pari all’assegno sociale, è costretto a richiedere quest’ultima prestazione, che però è condizionata da limiti di reddito e non prevede l’accumulo contributivo.

Con l’introduzione di un sistema pensionistico che riconosca la pensione di vecchiaia a 71 anni a tutti, anche ai lavoratori con solo cinque anni di contribuzione indipendentemente dall’età di inizio dei versamenti, si chiuderebbe definitivamente questa ulteriore disparità. In questo scenario, l’assegno sociale verrebbe progressivamente superato perché tutti avrebbero diritto a una pensione contributiva, a prescindere dalla quantità dei contributi versati, garantendo così una tutela previdenziale reale e più dignitosa.

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Questa evoluzione normativa non solo estenderebbe i diritti pensionistici a una platea più ampia di cittadini, ma permetterebbe anche un recupero più giusto delle posizioni contributive, oggi spesso inutilizzate per decisioni normative discriminatorie. Ciò significa che nessun lavoratore rischierebbe più di perdere completamente il frutto dei propri versamenti contributivi e, contestualmente, si eviterebbe il ricorso a forme di assistenza sociale residuali e insufficienti.

Il sistema sarebbe finalizzato a garantire a tutti la possibilità di accedere a una pensione dignitosa a 71 anni con requisiti contributivi equi e universalistici, eliminando l’incoerenza normativa che oggi costringe molti a dipendere dall’assegno sociale. Questo cambiamento rappresenta un passo cruciale verso una previdenza inclusiva, più efficace e socialmente sostenibile.

 


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