Pensione a 70 anni: perché la riforma stenta a partire e quali conseguenze aspettarsi

il quadro normativo della pensione a 70 anni nella pubblica amministrazione
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Pensione a 70 anni nella Pubblica Amministrazione: una misura introdotta dall’ultima legge di Bilancio che permette, in via opzionale, il trattenimento in servizio di dipendenti pubblici fino al compimento del settantesimo anno di età. Questa norma si inserisce in un contesto legislativo che non attribuisce un diritto automatico al lavoratore, ma conferisce al datore di lavoro pubblico la facoltà di decidere in base a criteri di necessità e utilità organizzativa. Il provvedimento si rivolge esclusivamente a personale la cui permanenza risulti funzionale a specifiche finalità, quali il tutoraggio delle nuove leve o la gestione di mansioni particolarmente complesse e difficilmente sostituibili.
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La misura riguarda sia dirigenti sia funzionari non dirigenti e si applica solo a coloro che hanno superato i 67 anni, cioè l’età ordinaria per la pensione di vecchiaia, offrendo la possibilità di estendere il rapporto di lavoro per un massimo di tre anni aggiuntivi. Un vincolo imprescindibile è legato alla qualità del servizio svolto: solo il personale con valutazioni di performance classificate come “ottima” o “eccellente” può essere trattenuto, rispondendo così all’esigenza di mantenere in campo professionalità di alto valore.
Il consenso esplicito del dipendente è necessario per attivare il prolungamento, sottolineando che il sistema non prevede alcuna imposizione unilaterale. La norma funge quindi da strumento flessibile per le amministrazioni che possono modulare le proprie scelte in funzione delle esigenze specifiche, senza diventare un obbligo vincolante, inserendo così un elemento di discrezionalità gestionale nell’organizzazione del personale pubblico.
le ragioni della scarsa adesione delle amministrazioni alla misura
La limitata applicazione della pensione a 70 anni nelle diverse amministrazioni pubbliche trova motivazioni radicate in una serie di fattori strutturali e strategici. In primo luogo, l’obiettivo prioritario di molte istituzioni resta il ricambio generazionale, ritenuto cruciale per introdurre competenze innovative e accompagnare i processi di digitalizzazione e modernizzazione degli enti pubblici. Mantenere in servizio personale ultra 67enne, pur se con elevate performance, potrebbe rallentare questo percorso di rinnovamento e impedire l’ingresso di nuove professionalità.
Un altro elemento determinante è rappresentato dalla natura selettiva della misura. La legge impone infatti che solo i dipendenti con valutazioni “ottime” o “eccellenti” possano essere trattenuti oltre i 67 anni, limitando quindi la platea dei candidati. A ciò si aggiunge l’obbligo del consenso del lavoratore, che spesso preferisce procedere con il pensionamento, riducendo ulteriormente l’adesione a questa opzione.
Dal punto di vista organizzativo, l’incertezza sulla gestione e la complessità nella valutazione delle performance comportano un carico amministrativo aggiuntivo, scoraggiando molti enti ad adottare la misura in modo sistematico. Inoltre, in alcuni casi, la scelta di non estendere l’attività lavorativa fino a 70 anni può essere dettata dalla volontà politica di promuovere un turnover più dinamico, in linea con le strategie di contenimento della spesa e di rilancio delle assunzioni nel settore pubblico.
impatti sul turnover e prospettive future del sistema pensionistico pubblico
L’adozione limitata della pensione a 70 anni influenza direttamente la dinamica del turnover nella Pubblica Amministrazione, contribuendo a un rallentamento del ricambio generazionale. I dati Inps relativi ai primi mesi del 2025 evidenziano un calo significativo delle uscite anticipate, con un decremento del 33,85% rispetto all’anno precedente, segnalando una diminuzione delle possibilità di prepensionamento e, di conseguenza, una maggiore permanenza dei dipendenti già in servizio.
Questa riduzione delle uscite in anticipo, unita all’esiguità dell’utilizzo della misura di trattenimento fino a 70 anni, crea un doppio effetto restrittivo sul turn over: da un lato si riducono le cessazioni e dall’altro non si estende in maniera rilevante la carriera dei dipendenti più anziani. Tale situazione rischia di comprimere le opportunità di ingresso di nuove risorse giovani, indispensabili per sostenere i processi di innovazione e digitalizzazione della PA.
Dal punto di vista del sistema pensionistico pubblico, il limitato ricambio genera una pressione maggiore sulle strutture organizzative, rallentando il ricambio generazionale e il progressivo adeguamento delle competenze in linea con le nuove esigenze lavorative. Tuttavia, questa fase di transizione potrebbe spingere verso modelli di gestione più flessibili e strategie di pianificazione del personale mirate a garantire equilibrio tra esperienza e innovazione. In assenza di un utilizzo più esteso della pensione a 70 anni, resta quindi centrale perseguire politiche di reclutamento efficaci e criteri di valutazione della performance capaci di integrare professionalità diversificate e sostenere la trasformazione del settore pubblico.
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