Pensione a 64 e 67 anni: come ottenere la pensione minima più alta uscendo prima

sistema contributivo e criteri di accesso alla pensione
Il sistema contributivo rappresenta l’attuale modello di calcolo delle pensioni in Italia, introdotto con la riforma Dini del 1996. In questo sistema, l’ammontare finale della pensione dipende esclusivamente dai contributi versati durante l’intera carriera lavorativa, rivalutati annualmente e convertiti in rendita tramite specifici coefficienti di trasformazione, che aumentano con l’età pensionabile. Questa metodologia esclude maggiorazioni sociali presenti in altri regimi, rendendo il calcolo più aderente ai contributi effettivamente maturati dal lavoratore.
Indice dei Contenuti:
▷ Lo sai che da oggi puoi MONETIZZARE FACILMENTE I TUOI ASSET TOKENIZZANDOLI SUBITO? Contatto per approfondire: CLICCA QUI
I criteri di accesso alla pensione si fondano principalmente su due elementi: l’età anagrafica e l’importo del montante contributivo accantonato. È possibile accedere alla pensione a partire da 64 anni, ma solo se l’importo pensionistico previsto supera una soglia considerevole, pari a circa tre volte l’assegno sociale. Altrimenti, la pensione potrà essere fruita a 67 anni se l’importo è almeno pari all’assegno sociale o fino a 71 anni in assenza della soglia minima, purché si siano versati almeno cinque anni di contributi.


Questi paletti valorizzano fortemente i contributi versati e il reddito prodotto, privilegiando così chi ha avuto una carriera lavorativa più redditizia. Inoltre, sono previste particolari agevolazioni per le madri, che permettono di ridurre le soglie minime di pensione per l’accesso anticipato, favorendo così la flessibilità di uscita.
differenze tra pensione a 64, 67 e 71 anni
Il sistema contributivo italiano prevede distinte fasce di età per l’accesso alla pensione, strettamente legate all’importo maturato nel corso degli anni di lavoro. L’uscita anticipata a 64 anni è riservata a chi soddisfa requisiti economici rigorosi: almeno 20 anni di contributi e una pensione prevista pari ad almeno tre volte l’assegno sociale, cioè attorno a 1.620 euro netti mensili per il 2026. Questa possibilità consente un’anticipazione significativa rispetto all’età ordinaria, ma è accessibile solo a chi ha avuto una carriera redditizia.
La pensione di vecchiaia a 67 anni costituisce la misura standard per chi ha accumulato almeno 20 anni di contributi e un importo pensionistico almeno pari all’assegno sociale, circa 530 euro netti mensili. Questo passaggio rappresenta la norma per la maggior parte dei lavoratori con carriere contributive regolari ma con redditi medio-bassi.
Per chi non raggiunge questa soglia minima di pensione, è prevista la possibilità di andare in pensione fino a 71 anni. In questo caso, basta un minimo di 5 anni di contributi effettivi, senza vincoli sull’importo. L’elemento centrale è dunque la flessibilità della normativa, che garantisce il diritto pensionistico pur differenziando significativamente l’età di uscita sulla base del montante versato e dell’aspettativa di reddito previdenziale.
implicazioni dell’importo pensionistico sull’età di uscita
Il meccanismo che collega *l’importo pensionistico* all’età di uscita dal lavoro riflette una logica premiale per coloro che hanno accumulato un montante contributivo più elevato. In pratica, gli assegni pensionistici maggiori consentono un anticipo significativo della pensione, *a condizione* di aver maturato almeno 20 anni di contributi e di raggiungere un importo pari a tre volte l’assegno sociale, ovvero circa 1.620 euro mensili nel 2026. Questo rappresenta un incentivo sostanziale per chi ha avuto una carriera caratterizzata da redditi alti e continuità contributiva.
D’altra parte, chi percepisce una pensione intorno o appena superiore all’assegno sociale, vale a dire circa 530 euro mensili, potrà accedere al trattamento pensionistico solo a 67 anni, rispettando comunque un requisito minimo di 20 anni contributivi. Coloro che non raggiungono questa soglia economica possono ritardare l’uscita fino a 71 anni, ottenendo comunque la pensione con almeno cinque anni di contributi. La flessibilità normativa, pertanto, tutela il diritto alla pensione, ma impone un’uscita più tardiva a chi ha accumulato redditi più bassi.
Va evidenziato che questo schema crea una disparità sostanziale nella possibilità di lasciare il lavoro: l’anticipo a 64 anni è un privilegio riservato a una minoranza con carriere redditizie e contribuzioni elevate, mentre la maggioranza si ferma ai 67 anni o posticipa ulteriormente l’uscita per importi pensionistici inferiori. Tale configurazione sottolinea come il sistema contributivo premi i versamenti più consistenti, gerarchizzando l’accesso alla pensione in funzione dell’importo maturato.





