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Omessa dichiarazione IVA e fatture false: la Cassazione conferma la configurazione del reato fiscale

  • Redazione Assodigitale
  • 15 Maggio 2025
Omessa dichiarazione IVA e fatture false: la Cassazione conferma la configurazione del reato fiscale

La configurazione giuridica del reato di omessa dichiarazione IVA

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L’omessa dichiarazione IVA costituisce un reato previsto dall’articolo 5 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74. Esso si configura nel momento in cui il contribuente, obbligato per legge, non presenta la dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto. Tale condotta è sanzionata penalmente, a condizione che l’imposta evasa superi una soglia di punibilità definita dalla normativa. Non rilevano a questo fine eventuali giustificazioni basate sulla falsità delle operazioni registrate o sulla mancata percezione effettiva dell’IVA. Infatti, la disciplina tributaria considera comunque dovuta l’imposta riferita, anche se le fatture risultano essere fittizie o inesistenti.

Indice dei Contenuti:
  • Omessa dichiarazione IVA e fatture false: la Cassazione conferma la configurazione del reato fiscale
  • La configurazione giuridica del reato di omessa dichiarazione IVA
  • Il legame tra fatture false e obbligo di dichiarazione IVA
  • Il ruolo del dolo specifico nella responsabilità penale per omessa dichiarazione IVA


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La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha consolidato l’idea secondo cui l’omessa dichiarazione configura un illecito indipendente dal reale incasso dell’imposta. Sul punto, è rilevante la sentenza n. 32500 del 2018, che ha sottolineato come la mancata presentazione della dichiarazione non possa essere esclusa grazie alla mera inesistenza delle fatture sottostanti. L’evasione si consolida, pertanto, in una condotta autonoma che si verifica semplicemente attraverso il mancato adempimento burocratico e fiscale richiesto dalla legge.

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In termini pratici, questo significa che anche un contribuente che registra operazioni inesistenti ha comunque l’obbligo di dichiarare l’IVA relativa, indipendentemente dal fatto che tale imposta sia stata incassata. La norma mira a evitare che il documento contabile falsificato venga utilizzato come strumento per sottrarsi agli obblighi tributari pena l’integrazione del reato. Da un punto di vista tecnico-giuridico, il mancato rispetto dei termini di presentazione della dichiarazione e la mancata indicazione dell’IVA dovuta costituiscono gli elementi materiali fondamentali per la configurazione del reato.


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Questa impostazione evidenzia il carattere di tutela dell’ente impositore e il rigore del sistema sanzionatorio, orientato a prevenire qualsiasi comportamento elusivo e a preservare l’integrità dell’erario. Di conseguenza, per l’accertamento del reato non è necessaria la prova dell’illecito nella forma di un effettivo danno erariale, ma è sufficiente la mancata dichiarazione, che rappresenta di per sé una violazione formale e sostanziale degli obblighi fiscali.

Il legame tra fatture false e obbligo di dichiarazione IVA

La Corte di Cassazione ha chiarito in modo netto che l’esistenza di fatture false o per operazioni inesistenti non modifica l’obbligo di presentare la dichiarazione IVA. Questo principio scaturisce dalla necessità di evitare che documenti contabili fittizi possano essere utilizzati come pretesto per sottrarsi all’adempimento degli obblighi tributari. In altri termini, la mera falsità delle fatture non esclude l’imposta ai fini della dichiarazione, che rimane dovuta a tutti gli effetti normativi e penali.

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La logica giuridica sottesa a questa scelta normativa mira a scoraggiare comportamenti elusivi che, facendo leva sulla falsificazione di documenti, intendano aggirare l’obbligo dichiarativo. Questa impostazione tiene conto della natura formale e sostanziale della dichiarazione IVA, che non può essere disgiunta dalla reale volontà del contribuente di osservare gli obblighi fiscali, indipendentemente dalla veridicità o meno delle operazioni riportate.

La giurisprudenza consolidata sottolinea come la omessa dichiarazione in presenza di fatture false costituisca un comportamento penalmente rilevante proprio perché la normativa tributaria considera comunque dovuto l’imposta anche nei casi di operazioni inesistenti, nonostante queste ultime non producano un effettivo introito.

In tal senso, è fondamentale comprendere che l’obbligo dichiarativo si fonda esclusivamente sulla posizione fiscale e sull’ammontare dell’imposta dovuta e non sull’effettivo percepimento di redditi o compensi. Di conseguenza, gli articoli 5 del D.Lgs. 74/2000 e le interpretazioni giurisprudenziali di legittimità convergono nel sottolineare l’inscindibilità tra fatture, anche se di natura fittizia, e la conseguente obbligatorietà della dichiarazione IVA.

Il ruolo del dolo specifico nella responsabilità penale per omessa dichiarazione IVA

Il dolo specifico rappresenta un elemento imprescindibile per la configurazione del reato di omessa dichiarazione IVA. Non si tratta infatti di un semplice errore o di una mera dimenticanza amministrativa, bensì della consapevolezza e volontà di sottrarsi all’obbligo fiscale mediante l’omissione della dichiarazione. Tale dolo implica la precisa intenzione di evadere l’imposta e la consapevolezza che l’ammontare dell’IVA non dichiarata supera la soglia di punibilità prevista dalla legge.

La Corte di Cassazione ha ribadito che il dolo specifico non può essere dedotto automaticamente dal ruolo o dalla qualifica del contribuente. Essere titolare di una carica gestionale o possedere competenze tecniche non costituisce presunzione sufficiente per affermare la volontà evasiva. Occorre piuttosto un’analisi dettagliata delle circostanze concrete e degli elementi probatori che attestino l’effettiva consapevolezza e volontà di non dichiarare l’IVA.

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Per questo motivo, la semplice carica ricoperta, come quella di rappresentante legale, non è indice di dolo, se non accompagnata da ulteriori elementi sintomatici dell’intenzionalità evasiva. Divengono così fondamentali le prove indirette, quali la ripetuta omissione di dichiarazioni, l’assenza di tentativi di regolarizzazione spontanea e il protrarsi del mancato versamento anche a distanza di tempo significativo dalla scadenza.

Questi indici rafforzano la presunzione del dolo specifico e consentono di distinguere tra errori materiali o negligenze e l’effettiva volontà di eludere il fisco. La Corte sottolinea come l’accertamento del dolo debba essere fondato su elementi chiari, precisi e concordanti, al fine di tutelare il principio di colpevolezza che guida il diritto penale tributario.

In assenza di tali prove, la configurazione del reato risulta compromessa, dal momento che l’elemento soggettivo non può basarsi su supposizioni o mere deduzioni legate alla posizione ricoperta dal contribuente. La giurisprudenza, quindi, protegge il soggetto da ingiuste imputazioni, garantendo che la responsabilità penale scatti solo in presenza di una reale e manifesta volontà evasiva, evidenziata da una condotta inequivoca e reiterata nel tempo.


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