Strage di Nuoro: testimonianza del ragazzo sopravvissuto
«In casa urlavano tutti. Sono tutti morti. Papà ha ucciso tutta la famiglia». A pronunciare questi drammatici appelli è stato il 14enne unico superstite della strage di Nuoro. Il ragazzo, che ha vissuto momenti di terrore indescrivibile, è riuscito a sfuggire alla furia paterna solo fingendosi morto. «Ho finto di essere morto», ha confermato al personale medico dell’ospedale San Francesco, prima di essere operato a causa delle ferite al volto. Durante l’attacco, il giovane è stato colpito di striscio, ma la sua freddezza nel simulare la morte è stata decisiva per la sua salvezza.
Rimasto solo in casa per alcuni istanti, ha aperto la porta agli agenti delle forze dell’ordine quando questi sono arrivati. Con il coraggio di chi ha appena assistito a un massacro, ha guidato i carabinieri nei luoghi in cui si trovavano gli altri membri della famiglia. «Pensavo che anche il fratellino di 10 anni fosse morto sul colpo», ha raccontato. Secondo le sue parole, era ancora a letto quando ha udito il rumore del primo colpo di pistola e ha visto il padre entrare nella stanza, sparando di nuovo.
La strage ha avuto conseguenze devastanti: la madre, il fratello minore e la sorella maggiore non sono sopravvissuti, mentre il padre ha posto fine alla sua vita dopo avere ucciso un vicino di casa e ferito la madre. Risultano attualmente ricoverati in ospedale sia il ragazzo che la nonna, Maria Riccardi, 84 anni, entrambi colpiti al volto ma non in pericolo di vita. Il loro racconto sarà cruciale per la ricostruzione di quanto accaduto e per comprendere le motivazioni dietro a questo gesto inenarrabile.
La ricostruzione dell’evento tragico
La mattina del dramma, il 14enne si trovava nella sua stanza, ignaro di ciò che stava per accadere. Secondo la sua testimonianza, il primo colpo è risuonato intorno alle 6:30, proprio quando il padre è tornato a casa da un turno di lavoro notturno. Il ragazzo ha raccontato di aver sentito un forte rumore, un suono che ha spezzato la calma domestica. «Mi sono alzato e ho visto papà che entrava nella stanza, ho capito che c’era un grosso pericolo», ha riferito.
All’interno dell’appartamento di via Ichnusa, la situazione si è rapidamente trasformata in un incubo. L’uomo, armato di una pistola cal. 7.65, ha iniziato a sparare indiscriminatamente. La prima vittima è stata la madre, seguita dalla sorella maggiore Martina, 26 anni, che si trovava vicino al luogo dell’attacco. Il ragazzo ha quindi percepito il caos e le urla che si generavano intorno a lui.
Fortunatamente, il giovane ha mantenuto la calma in un momento di estremo terrore, fingendo di essere morto per salvarsi. Questa strategia si è rivelata fondamentale per la sua sopravvivenza. «Ho pensato che se fossi rimasto immobile, non mi avrebbe colpito», ha spiegato. Anche se ferito, il ragazzo è riuscito a rimanere celato e a non attirare l’attenzione del padre. La sequenza degli eventi ha avuto un’escalation in pochi minuti; dopo aver ucciso le persone a lui più vicine, l’uomo è uscito di casa e ha colpito il vicino di casa, Paolo Sanna, prima di dirigersi verso la madre, a cui ha portato via la vita.
Il nonno materno è stato testimone della tragedia, seppur impotente. L’atmosfera nell’abitazione era angosciante, e il ragazzo ha assistito, attraverso il suo nascondiglio, a una scena che nessun bambino dovrebbe mai vedere. Dopo il caos, è riuscito a contattare le autorità, aprendo la porta e conducendo i carabinieri verso le altre stanze, segnando l’inizio di un’inchiesta che avrebbe cercato di dipanare la matassa di quell’orrendo crimine.
Le parole del testimone oculare
Il racconto del 14enne, unico sopravvissuto alla strage di Nuoro, è stato un duro colpo per chiunque ascoltasse le sue parole. «In casa urlavano tutti. Sono tutti morti. Papà ha ucciso tutta la famiglia» ha dichiarato, con una voce che tradiva la sua giovane età, ma anche una saggezza forzata dalla tragedia. Le sue frasi, brevi ma incisive, hanno reso l’idea di un orrore che ha piegato un’intera famiglia in pochi istanti.
«Ho finto di essere morto» ha ribadito al personale medico, tentando di spiegare la strategia di sopravvivenza che gli ha permesso di eludere la furia del padre. La lucidità con cui ha estrapolato questi ricordi è sorprendente, considerati i traumi vissuti. La sua testimonianza si è concentrata sugli attimi immediatamente precedenti alla strage; era nel suo letto quando ha sentito il primo sparo, un suono che ha cambiato irrimediabilmente il corso della sua vita.
L’angoscia si leggeva nei suoi occhi mentre raccontava di aver visto il padre entrare nella sua stanza, armato e furioso. La foga della scena non era solo fisica, ma anche emotiva. «Non ce l’ha fatta» ha detto, riferendosi a quelli che non sono sopravvissuti. La madre e i suoi due fratelli, compreso il piccolo di 10 anni, erano i più cari al suo cuore, e l’idea di averli persi in un attimo lo ha profondamente segnato. L’eco delle sue parole si riversa nel dolore della comunità, che cerca di comprendere come una famiglia possa essere distrutta in tale brutalità.
Anche se attualmente ricoverato, il giovane ha una responsabilità gravosa sulle spalle: rappresentare la voce di chi non c’è più. Le sue dichiarazioni saranno cruciali per la ricostruzione dei fatti, necessarie per costruire un quadro chiaro di quanto accaduto. Il suo racconto sarà ascoltato dalle autorità, essendo uno dei pochi testimoni diretti della strage che ha segnato in modo indelebile Nuoro.
La situazione familiare prima della tragedia
Prima della tragica strage di Nuoro, la famiglia si trovava in una situazione complessa e difficile da interpretare. I rapporti familiari apparivano contradictori, con alcuni vicini che descrivevano la coppia come affiatata, mentre altri testimoni denunciavano litigi frequenti. I particolari emersi pongono interrogativi sulla stabilità emotiva del nucleo familiare, che con il passare del tempo sembrava attraversare una fase di crescente tensione.
Il padre, Roberto Gleboni, era descritto come una persona molto attaccata ai suoi cari, ma che poteva manifestare anche comportamenti controllanti nei confronti della moglie, Giusi Massetti, e dei loro tre figli. Secondo alcuni, vi erano stati segnali di malessere all’interno della famiglia, tra cui presunti debiti che l’uomo avrebbe faticato a gestire. La vendita della casa in centro, ereditata dalla moglie, a favore di una sistemazione in affitto in periferia, potrebbe essere stato un tentativo di affrontare le difficoltà economiche, ma anche un fattore di stress aggiuntivo nelle dinamiche familiari.
La procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta, senza al momento indicazioni di indagati, per chiarire le cause che hanno innescato l’escalation violenta culminante nel massacro. Si cerca di ricostruire non solo l’evento in sé, ma anche il contesto in cui è maturato: non ci sono biglietti in casa e le testimonianze sui rapporti tra i membri della famiglia sono discordanti. La narrazione della vita quotidiana di Giusi Massetti potrebbe rivelare ulteriori dettagli su una situazione che, nell’apparente normalità, nascondeva conflitti e sofferenze.
Seguendo le notizie sulla comunità locale, l’interrogativo che si pongono molti è come un padre in preda a una crisi possa compiere un gesto così inumano, infliggendo un dolore immenso non solo ai suoi cari, ma anche a tutta la comunità di Nuoro che, sconvolta, sta cercando di trovare un senso in un orrore inspiegabile.
Le indagini e le ipotesi sul movente
Le indagini relative alla strage di Nuoro si concentrano ora su una serie di ipotesi che potrebbero illuminare le motivazioni dietro il gesto estremo di Roberto Gleboni. All’indomani del tragico evento, gli inquirenti hanno avviato un’inchiesta approfondita per comprendere le dinamiche familiari e le circostanze che avrebbero potuto portare a tale violenza. Attualmente, non ci sono indagati specifici, ma si sta valutando un insieme di fattori potenzialmente scatenanti.
Uno degli elementi chiave oggetto di scrutinio è la condizione economica della famiglia. Secondo alcune fonti, Roberto Gleboni avrebbe affrontato una situazione finanziaria complicata, inclusi debiti che sembravano gravare su di lui. A questo proposito, la vendita della casa ereditata dalla moglie Giusi Massetti, che ha preceduto il passaggio a una sistemazione in affitto in periferia, potrebbe aver rappresentato un segnale di stress che ha deteriorato ulteriormente la stabilità familiare. Per gli inquirenti, questi particolari sollevano interrogativi su come la pressione economica possa influenzare la psiche di un individuo e le sue reazioni nei confronti dei propri cari.
Un altro aspetto di interesse è il comportamento di Gleboni verso la sua famiglia. Descritto dagli amici e dai vicini come un uomo affettuoso e attaccato ai suoi cari, risulta difficile da conciliare con la brutalità dimostrata nelle sue azioni. Tuttavia, le testimonianze rivelano l’esistenza di frequenti conflitti all’interno della casa e un rapporto maritale che potrebbe non essere stato così roseo come appariva esternamente. La comunità si interroga sulle fratture che possono essersi create, che hanno contribuito a una degenerazione così drammatica dei rapporti familiari.
In assenza di lettere o messaggi che indichino un preannuncio della tragedia, gli investigatori si trovano di fronte a un enigma. La ricostruzione della giornata fatidica, così come gli eventi che l’hanno preceduta, sarà fondamentale per comprendere le motivazioni di un gesto che ha scosso profondamente non solo i familiari, ma l’intera comunità di Nuoro. Le autopsie delle vittime, previste per oggi a Cagliari, potrebbero fornire ulteriori informazioni e contribuire a chiarire il contesto in cui si è consumata questa tragedia, ma le verità più sfuggenti potrebbero essere solo nel profondo della mente di chi ha perpetrato il crimine.