Sui Social si parla con le Emoji: ecco come evolve il pensiero critico
Chi l’avrebbe pensato qualche anno fa che le faccine che facevamo sui nostri diari di scuola o che aggiungevamo goffamente a qualche SMS sarebbero diventate nuove forme costituenti del linguaggio comune?
Quanti messaggi inviate, oggi, senza aggiungere uno smile? Un emoji (e non una emoticon, trovate qui la differenza ben spiegata) di una donna che balla, di due amici che si tengono per mano, di qualcuno che rockeggia?
Nel 2015, l’emoji che ride con le lacrime agli occhi è diventata, grazie all’Oxford English Dictionary, la parola dell’anno (vogliamo ancora fare polemica sul fatto che Bob Dylan abbia vinto il Premio Nobel per la Letteratura?).
Nella comunicazione politica, esse vengono spesso usate per richiedere feedback rapidi agli elettori e i media ne parlano spesso.
Ricorderete la discussione sul fatto che le emoji non tenessero conto delle etnie o sul fatto che le professioni scientifiche fossero rappresentate solo da uomini (trovate un articolo sull’introduzione delle emoji femministe da parte di Google qui, mentre WhatsApp ha rilasciato nuove emoji e ha sviluppato la possibilità di scegliere il loro colore della pelle).
Insomma, volenti o nolenti, queste faccine buffe sono diventate parte integrante della lingua e sua declinazione globale (non c’è differenza fra un’emoji inglese, una italiana o una francese).
La loro diffusione implica che il loro utilizzo cominci fin dalla tenera età e che i bambini divengano rapidamente consapevoli del loro utilizzo e dei loro significati.
Se chiedete ad un ragazzino di spiegarvi il significato dell’emoji con le lacrime agli occhi, però, è probabile che saprà darvi minimo due interpretazioni della stessa (già, la comunicazione è roba complicata).
Partendo da questo presupposto interpretativo, Marissa King, maestra alla Public School di Tulsa, ha deciso di far avvicinare gli studenti alla lettura critica dei testi ispirandosi proprio alla capacità critica che essi dimostrano nell’utilizzo e nell’interpretazione delle emoji.
Il processo che utilizza è molto semplice: inizia raccogliendo alcune emoji fra le più utilizzate e chiede ai ragazzi di interpretarle dando le letture più disparate.
A volte utilizza emoji decise a priori, altre volte utilizza post o tweet di personaggi famosi al fine di avere un contesto all’interno del quale esse appaiono.
Un esempio è quello dell’emoji con gli occhi sbarrati: gli studenti hanno riflettuto sul fatto che essa possa indicare confusione sul significato del messaggio (Cosa mi stai dicendo?), impazienza nella risposta (rispondi o no?) o può indicare stupore per qualcosa mai sentito prima.
Tre interpretazioni per una faccina ma se pensiamo a quando dovevamo analizzare i Promessi Sposi o La Divina Commedia non abbiamo ricordi così nitidi del nostro spirito interpretativo.
In questo, come in molti altri casi, la tecnologia non solo influenza l’evoluzione del linguaggio e dei messaggi ma implementa le possibilità di comprendere i processi di comunicazione, verbali e non, e aiuta a far avvicinare gli studenti, anche i più piccoli, al pensiero critico e interpretativo.
Gli studenti della Professoressa King alla fine dei loro corsi compongono una sorta di dizionario sulle emoticon. Non so voi, ma io ne chiedo sicuro una copia.