Facebook Reactions e il nuovo giornalismo
Da qualche settimana hanno fatto capolino sulle bacheche di Facebook quelle che vengono definite Facebook Reactions. Se ancora non le vedete sul vostro wall, si possono spiegare in breve dicendo che sono l’evoluzione emozionale del like.
Se nel like erano contenute tutte le reazioni -stupore, rabbia, emozione, felicità- le reactions le spacchettano, dando la possibilità di esprimere al meglio il proprio stato d’animo su una notizia, un post, un avvenimento.
Prime reazioni alle reactions? Principalmente due. Da una parte si guarda soprattutto all’usabilità da parte degli utenti, al potenziale che queste faccine simpatiche hanno nell’accrescere l’esperienza su Fb e alla possibilità di rendere un social media sempre più umano, anche nelle funzionalità stesse.
Dall’altra parte, si guarda soprattutto alla dimensione del marketing, sempre più centrale nelle operazioni del colosso di Zuckerberg. Indubbiamente, le emozioni espresse con chiarezza, permetteranno una profilazione sempre più accurata dei pubblici e delle loro preferenze.
Solo per fare un esempio, si potrebbe pensare che, fra qualche tempo, lo strumento di profilazione di Fb Ads sia in grado di dire non solo cosa piaccia a una persona ma anche che cosa la stupisca, quale post l’ha fatta emozionare di più e su quale prodotto o post abbia trovato, invece, elementi negativi.
Ma questo è solo un frammento di tutto ciò che si potrà sviluppare in connessione all’analisi dei sentimenti su Facebook. Si pensi solo alla possibilità di dividere gli utenti in segmenti emozionali. I “wowers”, i “lovers”, i “disappointed” sostituiranno i tratti tipici delle personas.
Un terzo elemento riguarda, invece, la relazione fra lo sviluppo delle reactions e il giornalismo. Da questo punto di vista, esse potrebbero essere uno strumento di fondamentale importanza nell’evoluzione di un giornalismo di tipo differente. Non migliore o peggiore, bensì diverso. Fino a oggi siamo stati abituati alla logica del clic, il click bates, il sensazionalismo da social.
Spesso si leggevano titoli che definirli esca risulterebbe un eufemismo, che puntavano soltanto all’apertura del post o al like su di esso. Ma quanto spesso ci si accorgeva che quei like volevano dire molto di più di un “mi piace”? Aprendo i commenti ai post delle più disparate testate si trovavano spesso reazioni ben più complesse del like.
Critiche, commenti indignati, polemiche, reazioni tutt’altro che positive. Questi, tuttavia, passavano spesso inosservati.
Nessuna risposta dai social media manager delle testate, nessun commento, nessuna riflessione.
Ma ad oggi? Come potrebbe cambiare la percezione di certe notizie ora che Facebook permette di esprimere più che un semplice like?
La speranza è che il giornalismo sia, nuovamente, ad un bivio: rimanere sui social come fatto fino ad ora o iniziare a considerare le reazioni delle audience? Continuare a postare con l’intento di prendere un like o spingere ad aprire il post, o cercare di creare dialogo?
Se da un lato la presenza delle reactions apre domande sul futuro del marketing e sui livelli di profilazione, dall’altro dà una nuova speranza al giornalismo di qualità che troppo spesso si è visto superare da sensazionalismi, cronaca nera, dettagliati resoconti di vicende di poco conto o delle vacanze estive o fuori stagione di qualche politico.
Facebook ha creato uno strumento che ha una potenzialità enorme nel cambiare le abitudini di consumo di informazione e che, forse per la prima volta, permette davvero di far sentire la propria voce senza dover cercare di aprire un dialogo con chi, a volte, non lo vuole aprire.
Al momento non vi è nessuna certezza, ma quello che si spera è che sia il momento giusto per il giornalismo di ritrovare, almeno in parte, la sua vera natura.