Fujifilm ha supportato il fotografo Alessio Cupelli durante la realizzazione del suo progetto personale intitolato “Nadab“, che in arabo significa “Cicatrice“, presente al Festival della Fotografia Etica di Lodi 2017. Segue una intervista fatta ad Alessio poco dopo la mostra.
Ciao Alessio! Abbiamo finito ora di vedere la tua mostra “Nadab” per cui ti faccio i miei più vivi complimenti. A metà percorso mi è personalmente scappata qualche lacrima. La prima cosa che salta all’occhio è l’intensità del bianco e nero con cui hai filtrato il mondo per presentarlo al pubblico. Posso chiederti cosa rappresenta per te l’assenza di colore in fotografia?
Assolutamente Ornella. Io l’immagine non la vedo a colori, la vedo in bianco e nero. Addirittura prima scattavo solo in pellicola e lavoravo con le TRIX. Quando le scatto, vedo già il risultato in bianco e nero.
Per quanto riguarda il discorso di linguaggio, innanzitutto per me non cambia, anche se sento spesso dire che i colori sono bellissimi da un punto di vista comunicativo. In secondo luogo a mio avviso la fotografia si libera da tanti schemi che oggi le sono imposti:
- Ha più forza in bianco e nero, se non è qualcosa di puramente stilistico chiaramente;
- Ferma il tempo in un modo completamente diverso rispetto al colore;
- Offre la possibilità al fruitore di vedere qualcosa di diverso.
Se fatto bene, il bianco e nero sopravvive al passare del tempo, poiché è analogico rispetto alla realtà. Non diventa obsoleto con il passare della tecnologia o dell’arrivo di una nuova tecnica di stampa. Ha ovviamente i propri limiti, ma quei limiti diventano la sua forza e la sua chiave di lettura.
Il bianco e nero sintetizza tantissimo un tempo che non esiste, un tempo sospeso che non hai visto nemmeno tu fotografo. È un frame che infatti stupisce anche il fotografo perché hai visto qualcosa, ma hai in realtà chiuso l’otturatore il millisecondo successivo. Questo è il valore aggiunto.
La fotografia in bianco e nero per me ha una valenza anche perché la la vedo così fin dallo scatto. Non è un rapporto estetico che nasce in post-produzione. Io vedo lo scatto in bianco e nero e mi obbligo a vederla in questo modo.
Alessio scusa se ti interrompo, scatti ancora in pellicola?
Sì Ornella, scatto ancora in pellicola ma il progetto di Nadab è fatto tutto in digitale. Nonostante questo, anche nel digitale la prima visione è comunque in bianco e nero, per aiutarmi nel processo. Il limite velocizza e aiuta il linguaggio e la ricerca che fai.
Porsi dei limiti come il bianco e nero è un ottimo modo per non andare in discussione con se stessi. (sorride)
Certamente. Mi hanno insegnato che quando si preparano le luci in studio per una foto si preparano diversamente, che siano per una foto a colori o per una foto in bianco e nero.
Ma queste foto, che fanno parte di “Nadab“, che forza assumono grazie alla tua presentazione Alessio? Ti spiego brevemente quello che intendo dire: mi è capitato di vedere altre mostre di questo tipo e conosco il lavoro che fanno le ONG, ma come dicevo sopra a metà percorso un po’ di lacrime mi sono scese.
Ritengo che, in particolar modo, abbia fatto gioco la tua narrazione. Un fruitore della mostra che vede solo l’immagine cosa può vedere rispetto a qualcuno che ha te accanto a raccontare cosa è accaduto in quel momento, in quei giorni, in quegli anni?
Intanto Nadab è un work in progress e questo mi porta a pensare che nel tempo avrà bisogno di una pubblicazione abbinata a molti testi.
Io sono un giovane fotografo, nel senso che pratico l’arte della fotografia da poco tempo. Quindi quando ho dovuto preparare l’esperienza con voi giornalisti ho pensato: “Di fronte alla fotografia racconterò cosa è successo e come è successo”.
La semplicità del discorso deriva principalmente dalla potenza delle immagini. Si cerca anche però con il linguaggio di trasmettere un messaggio. Per esempio attraverso queste due (vedi fotografia più sotto, ndr) si cerca di arrivare ad un punto di rottura, di trasmettere l’invisibile.
Quando entri alla mostra capisci senza ombra di dubbio la situazione in cui vieni catapultato. Ma la ricerca sicuramente andrà avanti. C’è un’atmosfera, uno sguardo grigio come me – veramente. (sorride)
Anche i tuoi neri Alessio sono davvero molto intensi, belli.
Ti devo confessare una cosa Ornella. Io la prima lettura del mio portfolio ho avuto l’onore di farla con i siriani attraverso il mio cellulare. E poiché è un lavoro di due anni, i miei referenti più alti per ora sono dentro una tenda con un tè, a vedersi le mie foto. Loro l’hanno vissuto, a loro certamente non posso aggiungere niente con le mie parole; ecco, a loro con le mie foto sono arrivato.
Certamente la coscienza si tocca. Per qualcuno sarà più “facile” perché ci sono io che la racconto, ma il ragazzino di Lodi che si mette di fronte a queste immagini sarà in grado pian piano di trovare la sua sensibilità. D’altronde come fotografo non puoi toccare tutte le sensibilità. Più è ampia quella sensibilità e quella conoscenza, più è facile entrare all’interno del linguaggio.
Un operatore come Giovanni (operatore di Intersos presente alla mostra, ndr) capisce subito ciò che sta succedendo e ne viene rapito. Ma le mie sono quelle immagini che fai scorrere sullo smartphone così, una dietro l’altra, perché non hanno una peculiarità visiva forte da shock.
Io vengo dalla più vecchia scuola fotografica che tu possa pensare Ornella e sto cercando di creare immagini che hanno un loro ecosistema silenzioso, in un mondo forte e rumoroso come quello che abitiamo oggi. In questo modo le immagini possono sopravvivere al tempo.
Se posso aggiungere tra l’altro, a mio avviso il ragazzino di Lodi, dopo una decina di minuti che è qui dentro inizia anche lui a viaggiare, se costretto a stare di fronte a queste fotografie.
“Mi hai costretto ad osservare, non ti basta vedere la foto e sfogliare velocemente“.
Forse l’invisibile è una forza (vedi fotografia qui sopra, ndr). La fotografia in fondo è una grammatica e oggigiorno si corre verso una grammatica sempre più semplice. Questo perché l’obiettivo è far comprendere l’immagine subito al fruitore e ottenere il like.
Ma quanto vale e quanto dura soprattutto un mi piace?
Per arrivare a quell’obiettivo userai quindi poche lettere. Ma per esplorare i mondi avrai bisogno di una fotografia complessa, soprattutto per restare nel tempo. Sarà una grammatica più invisibile, più complessa e nell’insieme ti sembrerà di avere un punto di domanda in testa. Tuttavia anche il fruitore tornerà ad avere dei giusti tempi di lettura, poiché un’immagine va osservata.
Se posso permettermi io questa volta Alessio, mi sembra una bellissima analogia con le news veloci che hai citato prima e la letteratura. Il progetto che hai preparato e composto per questa mostra ha bisogno di anni per venire alla luce; allo stesso modo le foto non sono uno scatto rubato e via. Le news invece sono rapide, un click, un like e via.
Certamente Ornella. Anche perché dopo due anni che sei insieme ad una comunità sei parte di loro. Un paio di mesi sono il tempo necessario per scattare la prima foto, ma dopo due anni hai letteralmente passato il confine.
È un po’ bressoniana come cosa, ma bisogna fermarsi ed entrare a far parte del mondo che si vuole fotografare. Solo in quel modo le immagini arrivano a te.
Quindi non correre dietro alle immagini, bensì aspettare che le immagini vengano da te.
Assolutamente Ornella.