L’inclusività nella moda: un’analisi attuale
Moda e Inclusività: Uno Sguardo Critico
La recente analisi di Vogue Business mette in evidenza una realtà sempre più preoccupante: la moda sembra ritornare a una rappresentazione esclusiva, in cui le modelle curvy e plus size vengono nuovamente oscurate. Il report esamina le sfilate della Primavera/Estate 2025, rivelando un panorama che non sorride alle diversità. Negli oltre 8.700 look presentati in 208 eventi di moda tra Londra, Milano, New York e Parigi, solo lo 0,8% era dedicato a taglie forti (US 14+) e il 4,3% a taglie medie, mentre la stragrande maggioranza, il 94,9%, apparteneva a taglie normali, definite US 0-4, ovvero 36-40.
Questi dati non solo segnalano una stagnazione nella rappresentanza delle taglie più inclusivi, ma anche un evidente passo indietro rispetto a un periodo dove si era sperato in un cambiamento. Fino a pochi anni fa, il movimento per la body positivity sembrava aver incassato un colpo di reni importante, incoraggiando una visione più aperta e accogliente del corpo umano nella moda. Tuttavia, ora appare chiaro che l’inclusività potrebbe essere stata più una moda temporanea che una trasformazione radicale del settore.
Interrogandosi sull’atteggiamento dei marchi di lusso, emerge un trend allarmante: molte delle case di moda storiche stanno tornando a una visione ristretta della bellezza, dove il fisico snello viene scelto come standard irrinunciabile. Il culmine di questa tendenza si è potuto osservare anche a Milano, dove solo nove sfilate hanno visto la partecipazione di modelle curvy. Sulla scena parigina, Ester Manas si conferma come pioniere tra le speranze di cambiamento, presentando una notevole rappresentanza di taglie forti.
La questione fondamentale concerne il rischio di un appiattimento della narrazione sulla bellezza. Mentre l’industria promuove un’irraggiungibile silhouette magra, si ignora che la bellezza esiste in molteplici forme e taglie. L’ossessivo ritorno a modelli estetici passati sembra relegare nuovamente le curvy ai margini, dando l’impressione che il desiderio di inclusività fosse più una strategia commerciale temporanea che un’autentica evoluzione culturale.
Nei confronti di questa retrocessione, diventa cruciale riflettere sul reale scopo della moda: non solo quella di abbellire, ma di rappresentare la diversità della società in cui viviamo. La ricerca di uno spazio più equo continua, ma la strada appare irta di ostacoli, avvalorando l’idea che la vera inclusività non sia ancora una realtà nella moda contemporanea.
La rappresentanza delle taglie forti nelle recenti sfilate
Un’analisi dettagliata delle recenti fashion week rivela un panorama preoccupante per quanto riguarda la diversità delle taglie sulla passerella. Un’attenta disamina dei dati forniti nel report di Vogue Business sottolinea che durante le sfilate Primavera/Estate 2025, la presenza di modelle curvy è stata limitata e praticamente insignificante. In particolare, su un totale di 8.763 look presentati in 208 eventi di moda, le modelle di taglia forte (US 14+) hanno rappresentato solo lo 0,8% delle apparizioni, mentre quelle di taglia media hanno raggiunto appena il 4,3%. La quasi totalità, il 94,9%, è consegnata a taglie normali, ovvero US 0-4, corrispondenti a misure tra la 36 e la 40.
Questo quadro sembra segnalare un’inversione di marcia rispetto alle speranze di trasformazione e inclusione che avevano caratterizzato i recenti anni di body positivity. La fashion week di Milano, in particolare, ha evidenziato l’esclusione, con soli nove eventi che hanno visto la presenza di modelle plus size o di taglia media. Tra i pochi marchi che hanno tratto giovamento da questa visione diversificata, spiccano quelli emergenti, che si sono sforzati di rimanere fedeli a valori inclusivi, cercando di abbracciare la pluralità di forme e dimensioni.
In contrasto, brand storici e di lusso hanno mostrato una crescente tendenza a selezionare modelli che rispecchiano l’estetica tradizionale, dove la magrezza viene nuovamente esaltata come ideale. Alcuni dei nomi più noti, come Mugler, hanno completamente escluso modelle di taglia media o forte dalle loro presentazioni, mentre marchi come Chanel hanno fatto piccoli passi avanti, ma comunque restando al di sotto delle aspettative di inclusività.
A New York, sebbene ci sia stata una lieve crescita nella rappresentanza delle taglie medie, la situazione per le taglie forti rimane stagnante, con un misero 0,8%. In questo contesto, la settimana di moda di Londra emerge come l’eccezione più significativa, vantando un’approccio più progressista rispetto alle altre metropoli. La designer Karoline Vitto ha presentato collezioni caratterizzate da un assortimento di look esclusivamente dedicati a taglie medie o plus size, dimostrando così che una moda inclusiva è possibile e auspicabile.
Questo scenario complesso e sfaccettato non si limita a riflettere le scelte stilistiche, ma evidenzia la necessità di una riflessione più profonda sull’industria della moda e sul suo impatto sociale. La rappresentanza delle taglie forti è cruciale non solo per la visibilità di diverse forme di bellezza, ma anche per il benessere culturale e psicologico di un pubblico sempre più attento a questioni di identità e accettazione. L’industria deve ancora compiere ulteriori passi significativi per abbracciare completamente l’inclusività e sfuggire a dinamiche di esclusione che sembrano stesse riemergendo prepotentemente.
Le differenze tra le fashion week delle grandi città
Le fashion week delle grandi metropoli, come Londra, Milano, New York e Parigi, offrono uno spaccato della diversità e dell’inclusione nel mondo della moda, rivelando importanti differenze nella rappresentanza delle taglie. Seppur tutte queste capitali della moda cerchino di influenzare le tendenze globali, i loro approcci variano significativamente, riflettendo così le diverse attitudini culturali e sociali verso il concetto di bellezza.
La settimana di moda di Londra si conferma come la più inclusiva tra le quattro principali. Qui, la stilista Karoline Vitto ha trionfato presentando collezioni in cui il 100% dei modelli era composto da taglie medie e plus size, segnando un netto contrasto rispetto alle altre città. Questa scelta ha rappresentato una celebrazione della diversità, ribadendo come la moda possa essere accessibile a un pubblico più ampio, al di là delle convenzioni tradizionali che impongono standard di bellezza ristretti.
Al contrario, Milano ha evidenziato una scarsità di rappresentanza per modelle curvy, con solo nove sfilate che hanno visto la partecipazione di modelli di taglia media o plus size. Qui, i marchi storici spesso tornano a valorizzare canoni estetici classici, dove la magrezza regna sovrana, esprimendo una direzione contraria a quella che caratterizza la scena londinese. Marchi come Sunnei e Marco Rambaldi hanno puntato su una maggiore inclusività, ma restano casi isolati in un panorama prevalentemente esclusivo.
New York, pur mostrando una leggera crescita nella rappresentanza delle taglie medie, ha notato stagnazione per quelle curvy, rimaste fisse allo 0,8%. Questa situazione può essere interpretata come una mancanza di impegno da parte delle maison più affermate, che non stanno abbracciando un cambiamento significativo come ci si aspetterebbe da un mercato variegato e dinamico come quello statunitense.
Parigi emerge con un mix di novità e tradizione, dove marchi come Ester Manas e Rick Owens hanno fatto progressi significativi, portando un numero maggiore di modelle curvy in passerella. Tuttavia, altri nomi di rilievo, come Mugler, hanno dimostrato l’assenza totale di rappresentazione per taglie medie e forti, sottolineando la disparità tra brand emergenti e brand storici.
L’osservazione delle fashion week rivela non solo l’evoluzione delle tendenze ma anche una dialettica complessa riguardo l’inclusività nel settore. Mentre alcune città e designer segnano il passo verso una rappresentazione più completa e autentica, altre sembrano rimanere ancorate a modelli estetici del passato. Questa divergenza pone interrogativi cruciali su come la moda possa realmente abbracciare la diversità, non come una strategia commerciale, ma come un valore intrinseco della cultura contemporanea e della bellezza in tutte le sue forme.
Cause del declino delle modelle curvy in passerella
Il panorama attuale della moda sta rivelando la complessità delle dinamiche che influenzano la presenza delle modelle curvy in passerella. Un aspetto che merita attenta considerazione è il crescente culto della magrezza, che sembra avere nuovamente preso piede all’interno dell’industria. Negli anni ’90, l’ideale di bellezza era fortemente ancorato a figure esili, e attualmente stiamo osservando un ricambio di questa mentalità, dove le metriche di bellezza tradizionali ritornano prepotentemente a dominare la scena. L’emergere di figure iconiche provenienti dal passato, come le supermodelle, riporta in auge un’estetica che lascia poco spazio alla diversità corporea.
La questione non è solo di natura estetica, ma è anche scandita da tendenze sociali e dall’influenza dei media. La popolarità di farmaci come Ozempic, comunemente utilizzato per la gestione del diabete, ha sollevato dibattiti sull’uso della medicina per raggiungere uno standard di bellezza. Le celebrità, enfatizzate attraverso un’incessante esposizione social, hanno alimentato una narrativa tossica, dove la perdita di peso drastica è associata al successo e all’approvazione sociale. Questo fenomeno non fai altro che contribuire a una cultura in cui le donne si sentono costrette a conformarsi a ideali irrealistici, rischiando la propria salute per ciò che definiscono “bellezza”.
Inoltre, la moda sta assistendo a un revival di stili di vita e tendenze degli anni 2000, caratterizzati da abbigliamento che abbraccia forme fisiche ideali di magrezza assoluta. I pantaloni a vita bassa, le minigonne e i top corti dominano le passerelle, creando un’aspettativa impossibile e definendo un canone che sembra escludere le curvy. La moda di lusso, in particolare, attribuisce un valore quasi sacro alla magrezza, elevandola a requisito indispensabile per le modelle. Le maison di alta moda non sembrano percorrere un sentiero innovativo verso l’inclusività, ma piuttosto mantenersi saldamente ancorate a paradigmi che escludono le donne che non si conformano ai loro standard.
Il risultato è un settore che sembra riemergere con convinzione verso una rappresentazione estrema e limitata della bellezza, mentre il resto della società vive una continua evoluzione verso l’accettazione e la celebrazione delle differenze. Le case di moda che potrebbero abbracciare una visione più ampia e inclusiva, purtroppo, appaiono più interessate alla preservazione di una tradizione consolidata piuttosto che all’innovazione e all’apertura verso una reale rappresentanza. In questo contesto, è essenziale interrogarsi sul futuro della bellezza collettiva e sull’impatto che questo ha sulla percezione di sé in un pubblico sempre più consapevole e desideroso di inclusività.
Riflessioni sul futuro della body positivity nel fashion system
Negli ultimi anni, il movimento della body positivity ha cercato di porre rimedio a una narrazione che escludeva molte forme di bellezza, promuovendo un messaggio di accettazione e rispetto per i corpi in tutte le loro varianti. Tuttavia, l’attuale panorama della moda sembra contraddire questi principi, lasciando intravedere un futuro incerto per la rappresentanza delle modelle curvy. Sebbene siano stati fatti sforzi per abbracciare la diversità, i dati recenti delle sfilate Primavera/Estate 2025 suggeriscono che il settore potrebbe essere tornato a una visione limitata e tradizionale della bellezza.
I vari report rivelano che, nonostante la spinta di marchi emergenti e stilisti innovativi, la tendenza generale tende a escludere le taglie forti, ripristinando standard estetici che favoriscono le silhouette slanciate. Questo ritorno a modelli di bellezza più restrittivi riduce il progresso fatto verso una maggiore inclusività e suggerisce che la body positivity potrebbe essere stata più una reazione momentanea piuttosto che una trasformazione duratura della cultura della moda.
Il contesto socio-culturale attuale gioca un ruolo prezioso in questa dinamica. L’influsso di celebrità e influencer, specialmente attraverso i social media, contribuisce a perpetuare l’ideale della magrezza come simbolo di successo e accettazione sociale. I recenti dibattiti riguardanti farmaci come l’Ozempic evidenziano ulteriormente la pressione sociale che molte donne avvertono nel cercare di conformarsi a un ideale di bellezza irrealistico. È fondamentale considerare come queste narrazioni toxiche impattino sulla salute mentale e fisica delle persone, creando un’atmosfera in cui il peso è visto come un indicatore di valore e accettazione.
Le case di moda che hanno inizialmente abbracciato la diversità ora sembrano vacillare, evidenziando un’incoerenza tra ideali pubblicizzati e pratiche reali. Nonostante il clamore mediatico e le politiche di inclusione, il settore continua a misurarsi con le difficoltà di una vera rappresentazione. Le aspettative della società e le pressioni interne al mondo della moda possono rendere difficile la permanenza a lungo termine di iniziative inclusive, dando invece spazio a un ritorno a modelli estetici tradizionali.
Questa situazione impone di ripensare non solo le strategie di marketing, ma anche il significato stesso di bellezza nella cultura contemporanea. La moda deve avere il coraggio di abbracciare la pluralità delle forme e dei corpi, non solo come trend passeggero ma come un valore fondante della sua narrazione. La vera inclusività non dovrebbe essere una moda temporanea, ma una trasformazione culturale necessaria e costante, capace di riflettere e onorare la diversità dei corpi che popolano il nostro mondo. Solo così potremo arrivare a un futuro dove ogni corpo avrà il giusto spazio per esprimere se stesso sulla passerella.