Mauden affronta “cognitive era” e “big data”
Siamo ormai entrati nella “Cognitive era”. Questa è l’era della attività cognitiva, dell’intelligenza artificiale, dell’esplosione di dati in qualsiasi settore dell’economia, della tecnologia, della vita di tutti i giorni.
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Importanti società come IBM pensano al futuro, per incentivare le tecnologie cognitive, per capire, per imparare. Interessante l’approccio di Mauden sul tema della cognitive era, presentato nello stupendo spazio Bou-tek di Milano.
Mauden è Premier Business Partner di IBM per tutte le linee di prodotto (dal mainframe alla piattaforma Intel, lo storage, il software) e di servizio a esse collegate.
Dal 2014 con la Business Unit “EVO” la società ha esteso la sua attività di system integration anche ai temi più caldi dell’innovazione digitale e delle enormi potenzialità dei nuovi media, con particolare attenzione ai messaggi di marketing per i consumatori contemporanei.
“La tecnologia incontra il futuro” è l’argomento della conferenza tenuta da Mauden e magistralmente introdotta da Jean-Michel Rodriguez, Member of the IBM Academy of Technology sui temi dell’Artificial Intelligence e del Cognitive Business.
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Anzitutto va ridefinito il significato del termine intelligenza artificiale: non è semplicemente l’intelligenza mostrata dalle macchine. E’ piuttosto l’arte di creare macchine che sono in grado di compiere funzioni che richiedono intelligenza quando le stesse funzioni sono affidate ad un essere umano.
Anche il concetto di Cognitive Business va aggiornato. Quando si trattava l’argomento nel 1950, si parlava di ricerca, oggi si parla di scoperta. Da un approccio deterministico si è passati ad uno probabilistico. La logica del “linguaggio macchina” è oggi sostituita da quella del “linguaggio naturale”. Non ci sono più dei semplici outputs, bensì delle intelligent options. E, soprattutto, siamo passati dai dati aziendali ai big data.
Perché i big data sono ormai arrivati: oggi siamo intorno ai 4 zetabytes, ma nel 2020 saremo a 44 zetabytes, non sarà più possibile conservarli nei network come li concepiamo oggi. Bisogna che impariamo a lasciare i big data là dove li produciamo e li conserviamo. Come processarli? Ad esempio inviando i processori sui singoli smartphone (data@edge, computing@edge) invece di mandare tutti i dati. Oppure con piccole parti di codice tramite l’uso della fotocamera. Con collegamenti che coinvolgono più smartphone, ad esempio. Certo, un po’ la politica della privacy andrà rivista, ma nella sostanza sicurezza e individualità potranno essere rispettate.
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I punti da affrontare sono: i costi di questa trasformazione, il peso dei dati da trasferire, le normative.
Forse sarà un po’ più difficile modificare alcune regole nazionali per portarle a una logica internazionale di utilizzo dei dati: pensiamo alle banche, che hanno oggi qualche limitazione nella diffusione dei dati al di fuori dei confini nazionali. Ma anche questi aspetti possono essere facilmente regolamentati. Questione di tempo. E di volontà. Forse anche di necessità.
Per Mauden nel frattempo è il caso di ripensare allo storage e ai benefici di una struttura semplificata con maggior virtualizzazione e automazione, come d’altra parte suggerito da IBM con il suo “Spectrum Storage”.
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Lo ”Hybrid Cloud”, cioè la combinazione di public e private cloud che consente alle organizzazioni IT di diventare broker di servizi, presenta molte sfide. Elemento fondamentale è proprio un’infrastruttura virtualizzata su cui un portale web self-service utilizza l’automazione per accelerare l’erogazione di applicazioni e servizi. Agilità, scalabilità e riduzione dei costi giocheranno un ruolo sempre più importante nei prossimi anni.
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