Mario Draghi tra poco lascerà la presidenza della Banca Centrale Europea
MARIO DRAGHI
Mario Draghi tra poche settimane lascerà la presidenza della Banca centrale europea (Bce) dopo averla guidata con maestria per otto lunghi anni.
Tratto dall’articolo pubblicato da Beniamino A. Piccone sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
Era l’estate del 2011 quando la Commissione europea scelse il governatore della Banca d’Italia quale successore di Jean-Claude Trichet alla guida della Bce.
Quest’ultimo, nel luglio 2008 (pochi mesi prima del fallimento di Lehman Brothers), per paura che il rialzo del prezzo del petrolio contagiasse l’economia europea, alzò inavvertitamente i tassi di interessi. Non fu una scelta lungimirante. Non è un caso che, appena insediato, Draghi decise di abbassare i tassi a breve per ben due volte, consapevole che il problema dell’Unione Europea fosse la deflazione e non l’inflazione.
Nominato perché considerato un ortodosso in politica monetaria, Draghi, allievo di Federico Caffè, si è rivelato molto più flessibile ed eterodosso. Ben lontano dal modello prussiano, caro ai tedeschi.
Avendo la Bce un unico obiettivo, la stabilità monetaria, alias il controllo dei prezzi (che, secondo il credo mainstream non dovrebbero superare il 2% di crescita annua), Draghi in questi anni si è fatto interprete coerente. Siccome i prezzi si allontanavano dall’obiettivo (la crescita dell’indice dei prezzi era ben sotto il 2%), Draghi e il Comitato Esecutivo della Bce hanno fatto di tutto per ancorare al rialzo le aspettative del mercato.
Quando nel luglio 2012 a Londra Draghi decise di dare un messaggio chiaro e forte, lo fece per contrastare le aspettative dei mercati finanziari di break-up dell’euro. Prima di parlare, Draghi concordò con Angela Merkel e Nicolas Sarkozy i toni dell’intervento. Draghi specificò che, all’interno del proprio mandato, la Bce avrebbe fatto tutto il possibile. L’espressione “Whatever it takes” rimarrà nella memoria. “And, believe me, it will be enough”, “credetemi, sarà sufficiente”.
La credibilità di un banchiere centrale è fondamentale. La sua reputazione, senza necessità di agire, può bastare per invertire il corso degli accadimenti.
Draghi ha salvato l’euro. Non vi è alcun dubbio. È ormai considerato un politico, piuttosto che un esperto di politica monetaria.
Negli ultimi anni Draghi ha coordinato e guidato i numerosi interventi della Bce, tutti improntati all’accomodamento delle condizioni monetarie (con l’acquisto di titoli obbligazionari sul mercato secondario, il cosiddetto Quantitative easing), a rendere il denaro meno caro per imprese e famiglie.
Non è mai stato così conveniente contrarre un mutuo, così come non è stato così invitante per un imprenditore finanziarsi a lungo termine.
Al termine del suo mandato Draghi lascia a Christine Lagarde (che lascia il Fondo monetario internazionale) una situazione di tassi negativi su gran parte della curva, dai tassi a breve ai tassi a lunga governativi dei principali paesi europei. Italia, Grecia, Spagna e Portogallo, in passato in difficoltà, hanno potuto ridurre gli spread verso la Germania.
La sfida futura sarà convincere i Paesi in surplus o con poco debito – Germania in primis – ad azionare la politica fiscale (investimenti pubblici preferibili a spesa corrente).
Quando era studente, Draghi a colloquio con Federico Caffe, si sentì rispondere: “Se ha dei dubbi sul ruolo del banchiere centrale, vada a parlare con Paolo Baffi in Banca d’Italia”. Il bravo allievo andò a Palazzo Koch dove Baffi, sherpa delle idee, gli spiegò che la politica monetaria non può tutto, non è la panacea di tutti i mali.
Tocca ora alla Lagarde doversi coordinare con 28 Paesi UE (vedremo cosa farà il Regno Unito) e 19 Paesi aderenti all’euro. Una sfida che Mario Draghi ha superato alla grande. All’estero lo hanno ben capito. L’Italia è composta da persone prodigiose come SuperMario, e da manigoldi ignoranti (ogni lettore ne scelga uno a piacere).
Prof. Beniamino A. Piccone presidente di APE
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