Macrocosmo Bulgari – Microcosmo Social Media
Per la Festa della Mamma, quest’anno Bulgari ha avuto un’idea alternativa. Niente spot toccanti o emozionali, niente marketing esistenziale o video strappalacrime.
In un mondo, quello dell’advertising, in cui bontà, buoni sentimenti e valori sembrano, negli ultimi anni, farla da padroni, Bulgari ha deciso di esprimere un messaggio diverso, decisamente alternativo. Ha optato per un giorno di Guerrilla Window Art Worldwide.
Alcuni articoli (ne trovate uno, ad esempio, qui) descrivono l’evento dedicato alle mamme come “un’esposizione one-of-a-kind dedicata alla urban culture“.
Sebbene la definizione che comprende termini come guerrilla e urban culture possa trovare discordi alcuni, non è su questo punto che si vuole concentrare l’attenzione, bensì su quello che è stato l’hashtag ufficiale dell’evento e il messaggio diretto della comunicazione del brand: Jewels not Flowers.
Siamo nell’era del post-pop, del post-moderno, della commistione e non c’è da stupirsi del messaggio in sé, ma si può prendere ciò che è accaduto sul post pubblicato da Bulgari come un esempio della comunicazione che si sviluppa all’interno degli ambienti 2.0 e che dovrebbe, almeno teoricamente, essere partecipativa.
Pensate a Bulgari come a un qualsiasi ente, a un politico, a un’istituzione da cui vorreste delle risposte o, più semplicemente come a un opinionista o giornalista che divulga una notizia.
Il vostro mittente costruisce la propria comunicazione con maestria, esprimendo i valori coordinati alla sua immagine. Nel caso di Bulgari: “Le mamme meritano il meglio del meglio, meritano gioielli e non fiori”.
Alcune persone decidono che il messaggio è simpatico, o semplicemente che gli piace: 9.4K persone cliccano like. Tutte queste persone, sebbene abbiano deciso di esprimere un’opinione, possiamo pensare che si trovino al livello base della partecipazione.
Il like, infatti, è uno strumento semplice: si guarda il contenuto nello stream, spesso distrattamente, si clicca like, e dopo qualche minuto spesso ci si dimentica di averlo fatto.
Le reazioni però non sono solo positive: 15 utenti cliccano angry e 6 cliccano sad. Usare una delle reactions indica, probabilmente, un livello leggermente più profondo di interessamento. Chi le utilizza vuol far sapere cosa effettivamente quel contenuto abbia provocato in lui.
Ma nella dura legge dei numeri cosa possono 21 reazioni negative contro 9.4K di reazioni positive? I commenti sono in numero minore, 148, rispetto ai like ma il sentiment è completamente differente. Sono per lo più negativi e esprimono disappunto e delusione verso il messaggio dato dal brand.
I commenti, com’è facile intuire, hanno un peso maggiore rispetto ai like.
Chi prende del tempo per elaborare il messaggio e commentare ha un interesse diverso e vorrebbe far sentire la propria opinione e, probabilmente, avere un parere o sentirsi preso in considerazione nel dialogo.
Per la regola dell’1% (trovate un articolo del The Guardian, del 2006, che ne parla qui), potremmo considerare questi utenti come facenti parte di quella piccola fetta di users che producono contenuti sul web.
Vi starete chiedendo cosa possa c’entrare l’analisi di un semplice post con l’universo di Internet e con la comunicazione pubblica e politica.
Il post rappresenta in sé un microcosmo e non ha, ovviamente, nessun reale collegamento con una comunicazione di tipo istituzionale ma ne riassume alcuni meccanismi.
Li riassumiamo così:
- La regola del Like.
Non conta quante reactions negative ci siano, l’importante è che il numero di like sia elevato e che il post ottenga un alto numero di interazioni - Nella maggior parte dei casi il dialogo si dimostrerà unidirezionale.
Un like non apre un dialogo, un post che presenta un claim, che grida un’ideologia, che costituisce un’affermazione forte, non ha alcuna intenzione di aprire una reale conversazione. - Nella maggior parte dei casi non otterrete risposta.
Seppur vi lamenterete o esprimerete il vostro disappunto difficilmente otterrete una risposta.
In breve? Il web 2.0 ha cambiato le logiche del comunicare online, ha trasformato le campagne in movimenti, ha preso e messo a modello i principi del Cluetrain Manifesto.
I brand, però, come la maggior parte delle istituzioni e dei politici, non hanno fatto altro che adattare la propria comunicazione alle nuove logiche, per fattori opportunistici più che di reale conversione della comunicazione. Insomma, per il momento è proprio il caso di continuare a dire:
Lasciate ogni speranza o voi che commentate.