Italia richiede a Meta, X e LinkedIn il pagamento dell’Iva milionario dovuta

AGGIORNAMENTO DEL 26/03/2022 –
Riceviamo dalla Agenzia PR di Meta in Italia (nota alla redazione) la seguente presa di posizione che integralmente ripubblichiamo:
“Abbiamo collaborato pienamente con le autorità rispetto ai nostri obblighi derivanti dalla legislazione europea e nazionale e continueremo a farlo. Prendiamo sul serio i nostri obblighi fiscali e paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo. Siamo fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso da parte degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’IVA.” – Portavoce Meta
Richiesta di pagamento dell’Iva da Meta, X e LinkedIn
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Recentemente, il fisco italiano ha inviato a Meta, X e LinkedIn una richiesta di pagamento dell’IVA che supera il miliardo di euro. Questa iniziativa è il risultato di un’indagine avviata nei mesi scorsi riguardante presunti irregolarità fiscali.
Secondo quanto riportato da Reuters, si stima che Meta sia tenuta a versare circa 887,6 milioni di euro, mentre X e LinkedIn devono versare rispettivamente 12,5 milioni e 140 milioni di euro. In totale, le compagnie potrebbero dover rimborsare 1,04 miliardi di euro. È importante notare che la notifica dell’accertamento fiscale copre solo gli anni per i quali le richieste sono destinate a decadere, ossia il 2015 e 2016.
L’indagine fiscale e le sue implicazioni
L’indagine avviata dal fisco italiano nei confronti di Meta, X, e LinkedIn non si limita a una semplice richiesta di pagamento ma solleva questioni di ampia portata riguardo al trattamento fiscale delle attività digitali. La richiesta di oltre un miliardo di euro riflette l’approccio dell’Italia nel cercare di adattare le normative fiscali alle realtà di un mercato globale sempre più digitalizzato. Le autorità italiane non solo puntano a recuperare somme consistenti, ma anche a stabilire un precedente che possa influenzare la regolamentazione dell’industria tecnologica a livello europeo.
La posizione italiana potrebbe costringere le compagnie a riconsiderare il loro modello operativo e l’uso dei dati, evidenziando come la relazione tra utenti e piattaforme non sia solo una questione di accesso gratuito ma una transazione soggetta a tassazione.
La tesi delle autorità italiane sulla relazione sinallagmatica
Per comprendere la posizione delle autorità fiscali italiane, è fondamentale esaminare il concetto di “relazione sinallagmatica”, un termine che affonda le radici nel greco antico. Le autorità sostengono che l’accettazione da parte degli utenti dell’utilizzo dei propri dati personali in cambio di un accesso gratuito ai servizi costituisca un vero e proprio contratto.
Questo contratto, definito dal termine synàllagma, presuppone uno scambio reciproco: l’utente cede i propri dati mentre l’azienda fornisce un servizio. Di conseguenza, i dati diventano una merce, utilizzata da aziende come Meta per generare profitti attraverso la pubblicità.
Questa interpretazione ha potenziali ripercussioni significative, poiché equipara i dati personali a una forma di valore economico che deve essere soggetta a tassazione. L’ipotesi delle autorità italiane suggerisce che tali dati possano essere considerati un controvalore alternativo al denaro, e che il loro uso commerciale necessiti di una forma di compenso fiscale.
Questo approccio potrebbe portare a una ridefinizione delle modalità con cui i social network e altri servizi digitali interagiscono con i loro utenti e come vengano gestite le transazioni economiche legate ai dati.
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