Intervista a Martino Midali: la saggezza dell’anima che si fa abito
DALLA NOSTRA INVIATA CINZIA ALIBRANDI.
Incontro Martino Midali nella sua base operativa di via Bronzetti, dove ha creato un evento all’interno degli infiniti proposti per il Salone del Mobile.
Tutto trasuda glamour, dalle illuminazioni ai pezzi di mobilia ricercati esposti in una struttura articolata su più piani di grande effetto.
Invece, per scovare gli abiti della sua nuova collezione, occorre salire in alto, appaiono quasi nascosti, come fosse una piacevole sorpresa scoprirli.
Attendo Midali seduta in un cortile di un sontuoso palazzo d’epoca, arredato con soffici divani bianchi.
Non sono pronta a trovarmi di fronte un uomo discreto, pacato e gentile.
Ci togliamo dal frastuono di chiacchiere e musica e approdiamo nel suo ufficio, un open space dall’impianto democratico dove mentre mi accomodo è facile immaginarvi una grande armonia lavorativa.
E questa prima sensazione sarà confermata dalla suggestione quasi karmica che Midali evoca in un parlare sereno, dove le parole si snodano soffici e sinuose come le sue creazioni.
Per tutta l’intervista non smetterà di guardarmi negli occhi, con un sorriso dolce e disponibile.
Fatto raro, mi viene da pensare e, ora, da scrivere.
Sorrido a mia volta e snocciolo la prima domanda.
Chi è Martino Midali?
È una bella e curiosa domanda questa! Potrei stare una vita a raccontarmi: invece dico che io, oggi, sono il riassunto di un lungo percorso, che mi ha portato a essere qui, ora, portatore della mia essenza di vita, della mia ideologia.
Dopo tanto cercare, ho un bagaglio assai carico e so bene cosa devo tenere con me, sia nel viaggio della vita, che nel percorso professionale in qualità di stilista. Aggiungo che ho raggiunto l’essenza, la mia anima è nuda, mentre curiosamente io copro, con il mio lavoro di creatore di moda, il corpo.
Quali sono i valori per te imprescindibili in un mondo così particolare come è quello della moda?
È curioso: io non so disegnare, eppure so coniugare, partendo dal cuore, il bisogno che diventa abito.
Per me è fondamentale il concetto di abito, davvero non penso affatto, nella fase di ideazione, alla sua commercializzazione. Poi, è basilare suggerire una libertà emotiva che la donna deve sentire sulla propria pelle indossando un mio vestito, e con il suo modo d’essere, farlo distinguibile ed unico.
Io ho sempre pensato che la differenza tra vestito e abito consista nel fatto che un abito deve ‘abitare’ un corpo in modo significativo. Concordi?
Assolutamente! È proprio il concetto base su cui poggia la mia moda. Ed avvaloro questo, pure con il tipo di tessuti da me scelti. Prediligo infatti stoffe morbide perché trovano sul corpo, le forme di chi le indossa, una strada curvilinea su cui accomodarsi. Dopo è ovvio che ogni donna condisca una veste con la propria personalità!
Ho visto la tua nuova collezione, davvero bellissima e particolare. Da cosa hai tratto ispirazione: una stoffa, un colore, un luogo o paese in particolare?
Tutto quello che tu hai detto per me si traduce in una sola parola: la strada. Come dicevamo prima, la strada è poi simbolo di un percorso.
Racchiude il riassunto della nostra cultura occidentale che confeziono in una collezione.
Quindi potremmo definirla un’ispirazione ‘on the road?’
Sempre: e la moda, come qualunque ambito lavorativo, deve essere portavoce ed interprete della nostra grande civiltà occidentale. Civiltà, purtroppo in terribile decadenza. Si parla tanto di crisi economica, invece il fulcro del nostro malessere, è la crisi dei valori. Assistiamo al “tramonto degli Dei” che si ripercuote a cascata su tutto il nostro sistema politico, economico e sociale.
Hai un maestro, un esempio, un momento particolare che ti ha convinto ad intraprendere la carriera di stilista?
Io ho iniziato giovanissimo, ad appena sedici anni. Avevo probabilmente il dono di tramutare il mio sogno in un sogno collettivo. L’arte in genere deve trasportare in un mondo altro: se no, arte non è!
Un capo deve aiutare, far sognare la donna che lo indosserà: perché sarà il compagno di avventura di una sera, di un appuntamento, di un viaggio. Mi definisco un sognatore pragmatico e non è un controsenso: io declino in arte le sensazioni.
Quando sono al lavoro divento fattore del sogno. Smessi questi panni -è proprio il caso di dirlo- mi riconsegno all’onirico. Trovo questo andirivieni tra reale ed irreale, meraviglioso ed incredibile insieme!
Hai un ricordo che tieni custodito nel cuore che tuttora ti dà grande soddisfazione come stilista?
Uno su tutti: Anna, sorella dell’indimenticabile attrice ed icona del mondo artistico, la milanese Mariangela Melato, mi confidó che la sorella aveva da sempre indossato i miei capi. Io non lo sapevo! Amava entrare nei miei negozi perché affermava che i miei abiti emanassero un’aura particolare, che le apparteneva. Dunque era davvero libera e a uso agio vestendosi con una mia creazione. Da milanese purosangue qual sono, una dichiarazione d’amore per la mia arte da una concittadina di questo calibro, capirai equivale per me ad un fregio d’onore!
Esiste un capo che ogni donna deve avere in armadio, pronto ad ogni evenienza?
Ovvio: un abito di Midali! Io appartengo a quella generazione post- figli dei fiori che credeva nella libertà d’intenti, ovvero nella possibilità di tramutare in arte, avendone le qualità, il proprio sentimento. Dunque riandando al concetto di espressione sconfinata che è per me un leit-motiv, un mio vestito consegna libera sicurezza.
Io sono qui oggi a questo tuo bellissimo evento “Italia vietato sedersi”. Ne sei il protagonista,eppure ti vedo indossare un jeans ed un semplice pullover sopra una t-shirt. Allora è vero che chi crea moda diventa neutro nell’abbigliamento, in una sorta di understatement?
Per quanto mi concerne è così. Ho scarnificato me stesso per vestire gli altri. Tale modo di vestire per me è come essere nudo. È la mia essenza che deve trasparire nella mia moda, non un mio io esteriore. A casa, come fuori, eccomi! Non vedrai mai una persona che si accomoda a seconda delle circostanze: non è facile, occorre avere lavorato a lungo sull’acquisizione della propria consapevolezza.
Cosa ne pensi della polemica sulle modelle anoressiche, sulla necessità etica di calmierarne il peso per evitare di mandare ai giovani, voi che siete così alla ribalta, un messaggio negativo?
Il mio concept di moda risponde per me. La mia generazione non ha messo a frutto come doveva tutte le conquiste ottenute. Viviamo in una società interrotta. Si urla per strada dentro ai cellulari, in famiglia, in TV, ovunque. Ognuno vuole comandare, dettare regole che risultano inutili se non ci si ascolta reciprocamente.
Io rivendico la libertà delle donne di essere grasse o filiformi, e il mio abito consente di diventare una guaina sexy quanto un morbido caffettano. Si presta compiacente al rispetto di un corpo e, soprattutto di una mente che lo conduce.
L’intervista è terminata, ma io sarei stata ore ad ascoltare il maestro Midali.
E scrivo maestro, perché nel suo raccontarsi, nel mostrarmi il suo essere, mi ha indicato la suggestione di un percorso.
Ecco Martino Midali: il viandante della moda.
Tacco e stacco: e a tutti auguro di seminare fiori nella vostra via invece di gettare sassi.