Intervista al Baritono Armando Ariostini
Incontro Armando Ariostini nella sua bellissima casa milanese, curiosamente a un passo dalla mia; casa assai particolare perché rappresenta e racconta in ogni angolo la cifra artistica del suo proprietario.
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Appena varcato l’ingresso, mi colpisce una tela, quasi a altezza d’uomo ad opera del grande ritrattista Ulisse Sartini, che ha immortalato tutti i grandi personaggi della nostra epoca.
Dopo, mentre mi sto accomodando su un divano bianco, attorniata da vasi di ogni foggia e di superba fattura, che Ariostini colleziona e ha comprato per il mondo, attira la mia attenzione una statua, che farebbe impazzire qualunque amatore del settore, in terracotta di squisita eleganza, firmata Ulisse Pagliari, che ritrae la Callas.
Armando le carezza il volto e quel gesto rileva il suo amore per la lirica a cui ha dedicato, e non è parola vana, tutta la vita. Inizia una chiacchierata che ridurre a intervista è come mettere gli argini al mare, perché Armando, di vita, e in questo caso di vita speciale si tratta, come chi ha vissuto e vive d’arte, ne ha davvero tanta da raccontare.
Non mi stupisce che il suo parlare sia inframmezzato a momenti di canto – assicuro vera delizia all’orecchio umano – perché cantare e respirare costituiscono per lui un tutt’uno.
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INTERVISTA AL BARITONO ARMANDO ARIOSTINI: ARTISTA DALLA VOCE DI CRISTALLO E DAL CUORE D’ORO
D- Chi è Armando Ariostini: definisciti per i nostri lettori.
R- Sono nato a Milano, mentre mia madre moriva del mio parto. I nonni materni mi portano a Perugia, divento un perito elettronico e mi iscrivo a economia e commercio.
Comunque la musica faceva parte della mia famiglia, la mia amata sorella studiava canto e avevamo un palco alla scala. A 25 anni, però, tutto cambia magicamente una sera a un’importante cena, in mezzo a personalità mondiali della lirica, cito su tutti il cantante Franco Corelli e il grande direttore d’orchestra Michelangelo Veltri. Intono quasi per gioco dalla ‘Traviata’ “di Provenza il mare e il suol”, mentre attorno a me gli sguardi si fanno seri. Gridano al talento: sono un baritono naturale e mi indicano i maestri giusti con cui studiare.
I miei formatori sono stati Otto Müller e poi la soprano Lia Guarini. E dopo due anni di studio, vinco il concorso e divento cadetto all’Accademia della Scala. Qui tra gli insegnanti nomino Gina Cigna che è stata la prima ‘Turandot’ di Puccini e la mezzosoprano Giulietta Simeonato: artiste di fama planetaria.
D- Mi racconti la prima emozione del debutto: dove fu e con quale opera? R – Fu a Busseto, paese di Verdi, con gli allievi dell’Accademia della Scala e io interpretavo “Figaro” del ‘Barbiere di Siviglia’. Fui acclamatissimo, con una nota comica, per restare in musica, dettata da mia zia, per me una vice mamma, che completamente fuori di sè per la gioia, continuava ad applaudirmi: la dovettero portare fuori dal palco e somministrarle un calmante! Da lì è diventato un mio cavallo di battaglia, cantato subito dopo ad Avignone e poi in innumerevoli altri teatri. Ho poi fatto ‘Marcello’ nella “Boheme” a Lecce preparando miracolosamente il ruolo in una settimana con un successo di pubblico che mi ha gratificato dell’impresa titanica ed è stata la conferma che ero ormai di diritto nel mondo della lirica.
D- La canzone ‘Mamma’ del 1940 composta da Bixio e Cherubini è per te, oltre a un cavallo di battaglia, l’occasione di chiamare in altro modo chi ti ha dato alla luce e mai hai conosciuto?
R- Certo: è un bel modo di sopperire a una mancanza, ma devo dirti che la mia vita è stata questa, non ho altri paragoni, e sono stato cresciuto con grande affetto. In realtà ho chiamato mamma la nonna fino a 11 anni, età in cui toccai il cielo con un dito quando mio padre mi portò a Milano. Ma non funzionò e dopo tre anni tornai in Umbria terminando gli studi in collegio a Foligno per continuare la formazione lirica. Ho avuto in ogni caso una bella famiglia e mia zia e mia sorella sono stati e sono adesso due punti fermi.D- Tu hai cantato con i più grandi artisti: chi ti è rimasto più nel cuore? Avrai aneddoti da raccontare.
R- Domingo è persona molto carina, ho lavorato con lui alla Scala nella ‘Carmen’ diretta da Abbado nell”84 ma lo era pure Carreras. E non vi era invidia tra loro, erano insieme a Pavarotti i più osannati, e giustamente. Con Domingo ebbi il piacere di essere invitato il 19 novembre per il compleanno del principe Ranieri a Montercarlo. Eravamo gli ospiti d’onore nel 2^atto del ‘Pipistrello’ di Offenbach, opera che mi aveva visto protagonista nel 1984 alla Fenice di Venezia per la regia di Giuliano Montaldo. Da quel momento ‘Pipistrello’ è stato il mio ruolo, tanto ne ero uscito vincitore! Infatti ne diventai l’interprete per antonomasia. Ecco spiegato l’invito a Montercarlo, dove l’anno prima ero stato protagonista con Katia Ricciarelli, artista bravissima e cara amica, oltre che donna simpaticissima. Nel galà dopo, il principe fu con noi affettuoso e alla mano come un vecchio amico.
D- A breve ci sarà il Festival di Sanremo: cosa ne pensi dei cantanti lirici che hanno calcato quel palco, è un’operazione utile alla lirica o la danneggia?
R- Non lo credo. Penso che i giovani da un palcoscenico così popolare come quello dell’Ariston, possano farsi un’idea del mondo della lirica che per molti di loro appare irraggiungibile e confrontare diversi tipi di musica e canto. Luca Canonici vinse in coppia con Pupo e il principe Filiberto, per non parlare di Bocelli, oggi numero uno, che deve molto a Sanremo. Vi ho lavorato a Bologna nel ‘Werther’ e mentre in genere i big provano solo pochi giorni prima del debutto, lui fece tutte le prove. Era il primo ad arrivare e l’ultimo a andare. Con la difficoltà di memorizzare oltre al ruolo tutti i movimenti contando i passi. Aiutato in questo dalla sua assistente che oggi è la sua seconda compagna, faceva un lavoro da vero certosino e talmente encomiabile, da suscitare il rispetto di tutti noi della compagnia.
D- Oggi insegni ai giovani la tua arte: come ti poni con i tuoi allievi nel passare i segreti della melodia che è poi nostro patrimonio italiano, come italiana è la lingua della lirica?
R-Mi piace trasmettere ai giovani e lo faccio con lo stesso rigore con cui a mia volta fui formato io. Sono però convinto che da baritono si possa dare il meglio a chi studia per diventarlo, come un tenore può formare tenori. Non ritengo corretto insegnare ruoli diversi e che non appartengono, perché fuori dalle proprie corde vocali.
D-Cosa significa per te l’amore: gli artisti sono girovaghi per eccellenza, che parte ha avuto e ha nella tua vita?R- Questa domanda, da uomo maturo mi fa sorridere! Sono stato amato ed ho amato. Ricordo un grande amore, che per compiacermi, prima di ogni mio debutto ascoltava l’opera a cui stavo lavorando: era un modo per manifestare interesse per il mio mondo, così lontano dal suo. Ecco l’amore è stare vicini, rispettare l’altro. E oggi, è sempre più difficile, si è diventati più leggeri e vacui, c’è meno spessore.
D- Hai girato il pianeta e calcato i palcoscenici più prestigiosi del mondo, ma qual è quello che per te è stato fondamentale?
R- Quello della Scala nel 1989 quando con Serra fui protagonista in ‘L’occasione fa l’uomo ladro’ di Rossini. Io sono stato sempre considerato un cantante/attore e molti registi mi hanno lasciato libero di esprimere la mia capacità attoriale oltre che melodica, perché non sono mai uscito fuori le righe, rispettando il ruolo e le loro indicazioni. I critici l’indomani scrissero che i vincitori all’applausometto erano Ariostini e Serra. Eppure la sera prima un malefico colpo della strega aveva rischiato di far saltare tutto: ci vollero le mani di ben tre fisioterapisti per rimettermi in piedi!
D-Hai avuto esperienze cinematografiche?
R- intanto una parte nella fiction andata in onda il 1 e il 2 febbraio, di Rai1 sulla vita di Luisa Spagnoli dove canto; e poi in un film molto divertente per la regia di Ferrara ‘Tosca e altre due’ parodia della ‘Tosca’ con Adriana Asti e Franca Valeri dove io ero il protagonista maschile.
D- Tu sei un eccellente fotografo e ultimamente hai realizzato tre pregevoli album dedicati alla ‘Casa di riposo Giuseppe Verdi’ e agli artisti ospiti, il 30 gennaio ho assistito alla toccante cerimonia di consegna. Racconta questa relazione che assolutamente ti onora.
R-L’acquisto di un iPhone e la possibilità di scattare foto in libertà, ha sviluppato in me il gusto della fotografia, la ricerca di quell’angolatura e di quel momento che rende speciale l’immagine. Ho iniziato dunque a perfezionarmi: il collegamento con ‘Casa Verdi’ è perché andavo a trovare un mio caro amico il regista Beppe De Tomasi con cui ho fatto diverse opere. Poco per volta il mio affetto si è esteso agli altri ospiti. Dopotutto il collante comune è la musica e quello che ha rappresentato nella nostra vita. Ringrazio il presidente professore Roberto Ruozi e la direttrice dott.ssa Danila Ferretti per avermi accolto da amico e per la loro sensibilità. Dunque le mie foto si sono allargate agli ospiti e ne sono scaturiti i tre album fatti realizzare da un artigiano fiorentino con inciso ‘Casa Verdi’ che il 30 gennaio ho donato a ‘Casa Verdi’ in mezzo a canzoni e musica, e a seguire la degustazione del mio ciambellano denominato ‘Verdi’, che tutti apprezzano.
Il mercoledì ormai è un appuntamento fisso: un tè party al ciambellone dove tutto può succedere: ospiti che vengono a suonare e cantare, giochi di società e racconti. Si respira proprio una bella aria e credo che il sommo musicista sarebbe contento di vedere la sua casa vibrare di vita serena, perché non ha fallito nell’intento di destinare le sue mura a chi, come lui, aveva scelto la musica come colonna sonora della vita.
L’intervista è finita, mi congedo da Armando Ariostini, e mentre mi trovo in strada, tra i rumori delle macchine e il vociare dei passanti, mi sembra di sentire una musica. Mi blocco: è un’impressione, anzi no! Ariostini sta cantando “Mamma”. Ciao Armando. Baritono dalla voce di cristallo e dal cuore d’oro.
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