L’attacco dell’imam contro gli “israeliti
L’attacco dell’imam contro gli “israeliti”
L’imam del centro islamico Iqraa di Bologna, Zulfiqar Khan, continua a far parlare di sé con i suoi infuocati sermoni. Il 8 settembre, ha pubblicato due filmati su una nuova pagina Facebook, portando l’attenzione su affermazioni controverse riguardanti gli “israeliti”. I brevi spezzoni provengono da un sermone e sono titolati “Nessun impero rimane per sempre” e “Oppressori alla fine perdono”. All’interno di queste clip, Khan si scaglia inaccettabilmente contro gli ebrei, ripetendo il suo già noto linguaggio incendiario. Nel primo filmato, egli cita la Bibbia per sostenere le sue tesi, affermando che “i israeliti vengono messi, radunati dentro Gerusalemme come si mette argento, piombo, stagno, ferro”. La provocazione culmina con la frase: “Perciò ogni ingiustizia ha un fine…”. Queste parole, estrapolate da un messaggio religioso, rischiano di essere interpretate come formulate per incitare all’odio, piuttosto che alla pace.
In un momento in cui la tensione geopolitica è particolarmente alta, Khan continua a raccogliere consensi tra coloro che condividono le sue visioni estremiste. Le sue parole richiamano alla mente i discorsi del passato, nei quali ha già espresso opinioni denigratorie verso gli ebrei e l’Occidente, cercando di legittimare le sue posizioni attraverso riferimenti a figure religiose e testi sacri. Non è una novità per lui utilizzare la religione come strumento per giustificare l’intolleranza, ma la questione solleva interrogativi sul ruolo che simili affermazioni hanno nell’alimentare un clima di ostilità e divisione.
Nella seconda clip, Khan concentra la sua attenzione sull’“ingiustizia” perpetrata contro quei musulmani che combattono per la moschea di al-Aqsa. Questo richiamo a una causa araba e musulmana sembra voler giustificare una retorica bellicosa, sottolineando che “abbiamo visto che così tanti fratelli hanno paura di dire che Hamas è un gruppo sincero, mujaheddin”. Questo tipo di discorso, che elogia i combattenti di Hamas, non solo invita alla radicalizzazione, ma esprime anche un incoraggiamento alla violenza. Khan sostiene che coloro che oppongono resistenza a ciò che considera oppressione riceveranno aiuto dall’onnipotenza divina. Tali affermazioni, poiché provengono da una figura pubblica, hanno il potenziale di influenzare molti giovani nella comunità musulmana.
Nel complesso, il revival della retorica antisraeliana da parte di Khan non è solo un problema di semplice espressione di opinione, ma un campanello d’allarme per la società italiana e per gli organismi di governo, che devono affrontare il crescente fenomeno dell’antisemitismo e dell’intolleranza. È fondamentale interrogarsi su come questo tipo di comunicazione possa essere gestito nel contesto della libertà di espressione, tenendo sempre presente l’importanza di una società inclusiva e rispettosa, valori sacrosanti nei principi democratici che guidano l’Italia.
Contenuti di odio sui social media
Il ritorno di Zulfiqar Khan sui social media con la sua nuova pagina Facebook “Imam di Bologna” ha riportato l’attenzione sulla diffusione di contenuti considerati di odio. I filmati pubblicati, che comprendono sermoni espressi in modo incendiario, non solo attaccano gli ebrei ma si inseriscono in un contesto più ampio di retorica che glorifica la violenza e la resistenza armata, presentando le azioni di Hamas come legittime e giustificabili. Khan, nel suo discorso, non si limita ad esprimere opinioni personali ma utilizza una narrazione che richiama alla jihad e allo scontro con quello che definisce oppressione, insinuando che la violenza sia una risposta accettabile alle ingiustizie subite dai musulmani.
Un elemento preoccupante è l’intensificazione della sua retorica attraverso i social media, dove ha la possibilità di raggiungere un vasto pubblico. La piattaforma, infatti, gli offre l’opportunità di intensificare i suoi messaggi divisivi andando oltre i confini della sua comunità. Attraverso affermazioni storicamente cariche e caricaturali riguardanti gli “israeliti”, egli fomenta sentimenti di odio e disprezzo, mirando a creare un senso di giustificazione tra i suoi seguaci per atti di violenza e radicalizzazione. Questa disinformazione è particolarmente insidiosa per le nuove generazioni, che potrebbero prendere tali discorsi come fonte di verità e come motivazione per l’azione.
Il rischio di queste narrazioni è amplificato dalla mancanza di controllo e monitoraggio efficace. È essenziale riconoscere che, sebbene la libertà di espressione sia un valore fondamentale, esistono limiti quando le parole diventano strumenti di incitamento all’odio e alla violenza. Le affermazioni di Khan, messe in un contesto più ampio di intransigenza e conflitto, contribuiscono a un ambiente tossico, alimentando clandestinamente fanatismi già esistenti e sentimenti anti-israeliani.
L’attenzione verso questo fenomeno deve essere collettiva e urgente. È necessario che i governi, le istituzioni e le comunità civili collaborino per contrastare tali discorsi e offrire alternative positive. L’educazione al dialogo interculturale e l’importanza di una narrazione equilibrata sono cruciali per prevenire escalation di conflitti e divisioni all’interno della società. È imprescindibile tutelare i diritti di tutti, agendo contro l’odio in tutte le sue forme e costruendo ponti tra le diverse fedi e culture.
In un’era così connessa, è fondamentale non minimizzare l’impatto che tali discorsi possono avere. Le parole di un leader come Khan fanno eco, le loro risonanze possono diffondere il veleno dell’odio, che si propaga rapidamente, spesso alimentato dalla solitudine e dalla frustrazione di chi cerca appartenenza attraverso queste ideologie estremiste. È necessario dunque un approccio responsabile e proattivo per affrontare e rispondere a questa crescente minaccia all’armonia sociale.
Posizioni precedenti e controversie
L’imam Zulfiqar Khan, nel corso della sua attività pubblica, ha sollevato numerose polemiche per le sue dichiarazioni controverse e le posizioni estremiste che ha assunto. Già nel maggio 2021, durante un sermone in Piazza Maggiore a Bologna, Khan si era distinto per affermazioni infelici sulla comunità ebraica, definendo alcune frasi estrapolate dal Vangelo di Giovanni come una prova della crudeltà di presunti ebrei. Questa retorica ha alimentato il clima di sfiducia e di divisione tra le diverse comunità e ha messo in luce un uso strumentale dei testi religiosi per motivi politici.
In un altro sermone, tenuto il 24 maggio dello stesso anno, l’imam sembrava voler minimizzare il concetto di antisemitismo, dichiarando: «Hanno costruito una parola, Semitismo. Il semitismo non esiste. Nessun libro parla di semitismo, di antisemitismo». Queste affermazioni non solo mettono in discussione una questione seria come quella dell’antisemitismo, ma sembrano anche cercare di delegittimare le esperienze storiche e gli eventi che hanno segnato profondamente le comunità ebraiche nel corso del tempo. La negazione del semitismo da parte di un volto pubblico è un affronto alle vittime e alla memoria collettiva.
Nonostante le polemiche, Khan ha continuato a esprimere posizioni fortemente critiche nei confronti di Israele e a glorificare Hamas. Durante un’intervista nel novembre 2023, ha etichettato gli israeliti come “terroristi e ingannatori secondo la Bibbia”, aggiungendo che «l’inganno con l’obiettivo dell’interesse personale fa parte della fede ebraica». Queste affermazioni non solo sono infondate, ma alimentano una retorica che può facilmente sfociare nell’incitamento all’odio.
Inoltre, la glorificazione di Hamas e delle sue azioni violente non è un tema estraneo ai suoi discorsi. Khan ha descritto i membri di Hamas come “guerrieri” e non ha mancato di sottolineare il loro ruolo nel difendere i diritti dei palestinesi e nel combattere contro l’oppressore. Un esempio emblematico è il suo sermone del 26 maggio 2024, in cui ha affermato: «Abbiamo visto che così tanti fratelli hanno paura di dire che Hamas è un gruppo sincero, mujaheddin». Tali parole non solo legittimano la violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti, ma possono anche influenzare negativamente i giovani, ispirandoli a seguire ideologie radicali.
La recente ondata di discorsi incendiari, culminata con i contenuti pubblicati sulla sua nuova pagina Facebook, segna una continuazione di una lunga campagna di affermazioni provocatorie e divisive. Queste dichiarazioni non solo minano la coesione sociale, ma rappresentano un rischio concreto per la sicurezza e la stabilità delle relazioni tra le comunità. È fondamentale, quindi, che vi sia una presa di coscienza collettiva di fronte a queste istanze per evitare che simili discorsi continuino a trovare spazio e giustificazione nel discorso pubblico.
Reazioni istituzionali e richieste di espulsione
Le dichiarazioni del l’imam Zulfiqar Khan hanno sollevato preoccupazioni non solo tra la comunità ebraica, ma anche nel panorama politico e istituzionale italiano. Infatti, diversi esponenti del governo e della politica si sono espressi in merito alle posizioni estremiste di Khan, chiedendo misure concrete. L’onorevole Sara Kelany, nota per le sue battaglie contro l’estremismo islamico, ha presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, sottolineando la necessità di affrontare seriamente la questione del radicalismo religioso e di espellere i predicatori che incitano all’odio.
La risposta del Ministro Piantedosi non si è fatta attendere. Egli ha confermato che Khan risulta essere presidente dell’associazione culturale islamica “IQRAA”, partecipando a vari incontri e dibattiti, in cui ha costantemente espresso le sue posizioni intransigenti. Questo quadro preoccupante suscita interrogativi su come tali figure possano continuare a operare liberamente nel contesto italiano, mentre altri, accusati di reati minori, hanno subito conseguenze ben più severe.
Da parte sua, il vicepremier Matteo Salvini ha espresso il suo dissenso sulle affermazioni di Khan, evidenziando che tali discorsi non hanno spazio in una società civile e multiculturale. La sua posizione ha trovato risonanza tra molti cittadini che chiedono maggiore attenzione e un intervento decisivo da parte delle istituzioni. Inoltre, il console onorario d’Israele, Marco Carrai, ha fatto eco a queste preoccupazioni, richiamando l’urgenza di proteggere i diritti della comunità ebraica in Italia e di contrastare l’antisemitismo che si sta diffondendo.
Le reazioni non sono state limitate solo agli organi governativi, ma anche da parte di organizzazioni sociali e culturali. Diverse associazioni hanno lanciato appelli per una maggiore vigilanza contro la retorica dell’odio, evidenziando l’importanza della libertà di parola, ma anche la responsabilità che ne deriva. L’invito è a mantenere attivo un dialogo costruttivo e a lavorare per una società inclusiva, in cui nessuna forma di intolleranza possa trovare accoglienza.
Tuttavia, nonostante le numerose richieste e i severi avvertimenti, appare chiaro che il caso di Khan solleva questioni complesse e spinose sulla libertà di espressione e sul suo limite. La difficoltà di prendere misure contro figure pubbliche come Khan è emblematico di un problema più ampio che le istituzioni italiane devono affrontare. Come può uno Stato garantire la libertà di espressione senza permettere che essa diventi giustificazione per l’odio e la violenza? Questi interrogativi rimangono, alimentando un dibattito urgente e necessario nel contesto della convivenza pacifica tra le diverse culture e fedi.
Il governo, le autorità locali e le organizzazioni della società civile sono chiamati a un’azione unita e coordinata, per arginare la diffusione di messaggi estremisti e per garantire che le voci che incitano all’odio e alla violenza non possano trovare un palcoscenico in una società che si professa democratica e inclusiva. La posta in gioco è alta e il futuro della coesione sociale dipende dalla capacità di affrontare queste sfide con determinazione e lungimiranza.
I diritti di parola e le responsabilità in Italia
La questione dei diritti di parola, in un contesto come quello italiano, richiede una riflessione profonda e articolata. Zulfiqar Khan, con le sue dichiarazioni incendiari e divisive, incarna una dinamica complessa che riguarda non solo la libertà di espressione ma anche la responsabilità connessa a questa. In Italia, il diritto di esprimere le proprie opinioni è garantito dalla Costituzione, ma è altresì evidente che vi siano dei limiti, specialmente quando queste opinioni possono sfociare in incitamento all’odio o alla violenza.
Khan si è espresso liberamente, affermando il suo diritto di bocca in Italia, dove dice di poter parlare senza paura. Tuttavia, tali affermazioni portano alla luce una contraddizione. Se da un lato la libertà di espressione è un valore fondamentale da tutelare, dall’altro è essenziale che i messaggi emessi da figure pubbliche come Khan non danneggino la coesione sociale e non alimentino divisioni pericolose. L’impatto delle sue parole si estende ben oltre la sua comunità, toccando le fibre di una società già segnata da tensioni e polarizzazioni.
La responsabilità delle parole, in questo senso, diventa cruciale. I leader religiosi e comunitari hanno un potere significativo nel plasmare le opinioni e le azioni degli individui. Quando le loro affermazioni si discostano dai principi di rispetto e convivenza, possono innescare reazioni violente e favorire un clima di ostilità. È fondamentale considerare come una società possa tutelare i diritti di espressione senza compromettere il benessere collettivo.
Oltre a questo, la presenza di Khan sui social media amplifica le sue idee, permettendo a un pubblico più vasto di accedere a tali contenuti. Le piattaforme digitali devono affrontare la sfida di gestire le informazioni che possono incitare all’odio. In questo contesto, nasce l’urgente necessità di stabilire delle politiche efficaci per monitorare e, se necessario, limitare la diffusione di messaggi potenzialmente pericolosi.
In definitiva, il caso di Zulfiqar Khan rappresenta un’importante occasione per riflettere su come bilanciare i diritti e le responsabilità in un contesto democratico. È necessario che le istituzioni, insieme a società civile e comunità religiose, si uniscano per promuovere un dialogo costruttivo, garantendo che la libertà di espressione non diventi un pretesto per giustificare discorsi d’odio. La costruzione di una società inclusiva e rispettosa, in cui diversi gruppi possano coesistere pacificamente, parte da questa fondamentale consapevolezza.