Il debito pubblico italiano è a livelli troppo alti
Già un mese fa, con un riferimento indiretto all’Italia, il Fondo Monetario Internazionale segnalava come le fragilità del sistema finanziario “sono già elevate in diversi Paesi di importanza sistemica (fonte: Adnkronos). Un improvviso forte irrigidimento delle condizioni finanziarie potrebbe fare evidenziare queste fragilità e sollevare rischi alla stabilità finanziaria a breve termine”.
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Fra debito in scadenza e nuovo deficit continua a salire il fabbisogno annuo che l’Italia deve rifinanziare: se quest’anno il totale sarà pari al 23,7% del Pil, nel 2021 l’ammontare che il nostro Paese dovrà cercare sui mercati sarà del 24,7%, in pratica un quarto del Pil annuo. A certificare questo poco invidiabile record mondiale – fra le principali economie solo Usa e Giappone fanno peggio ma entrambi con un trend in calo al 2021 – è il Fondo Monetario Internazionale nel ‘Fiscal Monitor’. Per l’Italia il fabbisogno da rifinanziare sarà dato nel 2019 da un 21% di debito in scadenza, cui si aggiungerà un 2,7% di deficit: valori che nel 2021 dovrebbero salire rispettivamente al 21,2 e al 3,5% del Pil.
A che punto è il debito mondiale?
Nell’ultima relazione annuale della Banca dei Regolamenti Internazionali (un’istituzione che, semplificando, potremmo considerare “la banca delle Banche Centrali”) troviamo questo grafico molto interessante.
Si può vedere come da prima della grande crisi finanziaria, il debito sia continuato a crescere. Già nel 2010 il rapporto fra debito complessivo (pubblico e privato) e PIL mondiale era passato dal 179% del 2007 al 196%. Nel 2017 siamo arrivati al 217%. Fra qualche settimana dovrebbe uscire la prossima relazione annuale con i dati aggiornati al 2018 ed è molto probabile che sia ulteriormente aumentato.
Questi grafici hanno trovato una certa eco nella stampa specializzata, ma il dato della crescita del debito in sé non è l’aspetto più importante. Quello che conta veramente è il servizio per il debito, come ben sostiene Alessandro Pedone di ADUC nel suo editoriale sui Cicli Economici (cliccare qui per gli approfondimenti).
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Nella stessa relazione economica annuale si può trovare il seguente grafico.
IL SERVIZIO PER IL DEBITO
La spesa per gli interessi corrisposti ai detentori delle obbligazioni statali è detta “servizio del debito” e costa all’Italia circa 65 miliardi di euro annui. All’inizio dei cicli economici l’indebitamento è sostenibile perché il reddito aggregato cresce più di quanto cresca il servizio per il debito a causa dell’espansione economica generata al credito stesso. Questo genera nuova domanda e per sostenerla si crea nuovo debito. La natura stessa del debito crea una fase iniziale di espansione e poi una fase naturale di contrazione. Arriva quindi un momento nel quale il servizio per il debito cresce ad un tasso più elevato del reddito e ciò innesca la fase contraria del ciclo.
Alessandro Pedone confida che al momento il servizio per il debito non sia determinante. “La ragione è che i tassi d’interesse sono molto bassi e qualora rimanessero a questi livelli o salissero in modo contenuto il servizio per il debito rimarrebbe a livelli non preoccupanti. Ma qualora i tassi d’interesse salissero ai livelli precedenti a quelli della grande crisi, l’attuale livello di debito diventerebbe assolutamente insostenibile, perché il servizio per il debito supererebbe di gran lunga il livello che di fatto ha causato la Grande Crisi Finanziaria. Si badi bene che il problema principale non sono i debiti pubblici (che sono comunque molto cresciuti) ma i debiti privati”.
Allo stato attuale, l’aumento dello stock del debito è preoccupante, ma non ancora fuori controllo. Siamo però, di fatto, costretti a mantenere tassi d’interesse eccezionalmente bassi, pena l’innesco di una crisi finanziaria più dura di quella già sperimentata nel 2008/2009. Prima o poi il livello del servizio per il debito è destinato a diventare eccessivo. A quel punto, con tutta probabilità, le banche centrali dovranno inventarsi politiche monetarie ancora più straordinarie e creative in una spirale che prima o poi è destinata a mettere in discussione definitivamente i modelli teorici che fino ad oggi hanno determinato il comportamento delle istituzioni economico-finanziarie. Modelli gravemente insufficienti.
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