Hitchcock di Sacha Gervasi con Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson – Recensione in anteprima
Hitchcock
Regia: Sacha Gervasi
Cast: Anthony Hopkins, Helen Mirren, Scarlett Johansson, Danny Huston, Jessica Biel, Toni Collette, James D’Arcy
Distribuzione: 20th Century Fox
Nella celeberrima intervista rilasciata a François Truffaut, Alfred Hitchcock ha definito i suoi film come “sogni a occhi aperti”. Del resto nella produzione del maestro inglese il lato onirico ha sempre giocato un ruolo decisivo. Si pensi a Io ti salverò e alla sequenza ideata da Salvador Dalì, oppure a Notorius, a Vertigo, a Psycho, che come sosteneva l’allora articolista dei Cahier du Cinema, assomigliano proprio a dei sogni. Gli incubi, la psicanalisi, la nota ossessione per le attrici bionde non bastano, tuttavia, a definire la complessa personalità e l’avvincente esistenza di questo geniale e prolifico autore.
Ci prova con una certa dose di coraggio il biopic Hitchcock, di Sacha Gervasi, già artefice del documentario Anvil! The Story of Anvil, a posare lo sguardo sui retroscena di una delle opere più originali e controverse della storia del cinema: Psycho. La sua indagine, in gran parte basata sul libro di Stephen Rebello Alfred Hitchcock and The Making of Psycho, oltre a svelare aneddoti più o meno noti delle fasi di lavorazione del capolavoro, offre un ritratto personale e familiare di “Hitch” (così veniva confidenzialmente chiamato l’artista britannico), delle manie professionali e delle stranezze domestiche, dei rapporti problematici con i collaboratori, e con le star, dell’insofferenza nei confronti della censura e delle major di Hollywood, che come lamentava lo stesso Hitchcock, non l’avevano mai digerito. Difatti, rimane ancor oggi un’ombra nera sull’operato dell’Academy per non aver assegnato alcuna statuetta dorata al “maestro del brivido”.
Ma l’elemento di maggior interesse del lungometraggio in esame, a nostro parere, risiede nella relazione del cineasta londinese (Anthony Hopkins, che indossa una maschera di assoluta concentrazione) con l’amabile Alma Reville (una magnifica Helen Mirren), moglie devota e madre di Pat (l’unica loro figlia), musa ispiratrice e affidabilissimo supervisore artistico, il cui valore umano e professionale emerge in tutta la sua evidenza, risultando decisivo nelle diverse fasi della lavorazione della pellicola che fin dal 1959, appena dopo il grande successo di Intrigo internazionale, la Paramount si rifiutò di produrre, stimandola un sicuro flop, e che fu allora interamente finanziata da Hitch: ottocentomila dollari l’impegno iniziale a fronte di un incasso risultato venti volte superiore!
Hitchcock parte dalla tragica vicenda del serial killer del Wisconsin Ed Gein, prima fonte d’ispirazione del personaggio di Norman Bates, per soffermarsi sulla ricognizione del romanzo Psycho, un soggetto decisamente inadeguato, ma fecondo di spunti per la fervida fantasia del regista, il quale, ideò una messinscena tesa e coinvolgente, in cui fece la sua parte anche una felice scelta degli interpreti, a cominciare da Anthony Perkins (James D’Arcy), Janet Leigh (Scarlett Johansson) e Vera Miles (Jessica Biel).
La storia si dipana al ritmo della discontinuità e della crisi del rapporto tra il maestro e la consorte, provocata dalla pressione indotta dal grave rischio finanziario e dalle nevrosi alimentari e alcoliche del protagonista, e persino dalla gelosia per la serena libertà di Alma, la quale, prende a frequentare piuttosto assiduamente il simpatico amico di famiglia Whitfield Cook (Danny Huston), un mediocre sceneggiatore in cerca di successo. Parallelamente assistiamo alla straordinaria abilità di Hitch di creare un racconto semplice e al contempo dotato di una tensione costante, prodotta con soluzioni imprevedibili e geniali, come dimostra la morte della protagonista Janet Leigh programmata neanche a metà film, o il montaggio della sequenza della doccia, che è stata realizzata per mezzo di ben 70 inquadrature per soli 45 secondi di durata.
Fino alla premiere di Psycho, avvenuta trionfalmente nel 1960, nel corso della quale Sacha Gervasi si concede il vezzo, alla maniera di Hitchcock, di concedersi un cameo, la biografia alterna i momenti drammatici ai toni della commedia, spesso venati da una sottile ironia, quasi a ricordarci l’humour tipicamente british delle sceneggiature dell’artista inglese. La messinscena, inoltre, descrive la forza e la fragilità, le inquietudini e le umane manifestazioni di debolezza, e al tempo stesso la cocciutaggine che ne caratterizzava il carattere, e il talento che lo portava a scegliere sempre l’inquadratura più adeguata per sottolineare una data scena, o per suscitare la sensazione di angoscia e la suspense.
In definitiva, Hitchcock costituisce un intrattenimento intelligente ed equilibrato nel quale gli attori forniscono un’ottima prestazione recitativa, ulteriormente stimolata dalla felice alchimia della coppia Hopkins-Mirren, per la prima volta insieme sullo schermo. E se il sottotesto ammicca all’autoreferenzialità e alla crisi creativa di uno splendido sessantenne, l’ordito principale concerne prevalentemente la storia d’amore tra Alfred e Alma, e le emozioni che da essa scaturiscono, che di sicuro susciteranno l’interesse degli spettatori.
Alfred Hitchcock non seppe mai conquistare i critici, né li blandì mai, forse perché era troppo avanti, o forse perché costoro non l’avevano compreso ritenendolo solo “un autore di genere”, e fin troppo popolare. Molto più tardi Truffaut seppe restituirgli quel riconoscimento che avrebbe meritato da tempo, ovvero di essere considerato come uno dei massimi realizzatori di cinema del Novecento. La risposta ai critici Hitchcock l’avrebbe fornita ancora una volta nel corso di quell’intervista-fiume diventata di lì a poco l’opera di riferimento per chiunque intendesse occuparsi della settima arte: “Bisogna progettare il film come Shakespeare costruiva le sue commedie: per il pubblico.”