La guerra e i giochi sporchi di Uber contro Apple. Ma ha vinto Cupertino
Prima la collaborazione poi la guerra. Quella tra Uber e Apple è stato un rapporto burrascoso fatto di giochi sporchi e di inganni soprattutto da parte di Uber.
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A riassumere la vicenda è il New York Times che dedica un lungo articolo al Ceo di Uber Travis Kalanick intitolato “Il CEO di Uber gioca con il fuoco” in cui si raccontano le azioni spesso al limite delle regole per portare vantaggi all’azienda.
Nel 2015, racconta il New York Times, Uber avrebbe provato a ingannare Apple, violando di nascosto il regolamento dell’App Store allo scopo di tracciare gli utenti della propria applicazione anche dopo che avevano smesso di usarla e anche nel caso in cui l’avessero cancellata dal telefono.
Gli sviluppatori avevano infatti trovato un modo per identificare in modo univoco tutti gli smartphone iPhone che utilizzavano l’app.
Il colosso di Cupertino però scoprì l’arcano e Tim Cook minacciò Travis Kalanick di eliminare l’app dall’Apple Store. Il ceo fece un passo indietro pur di non perdere i milioni di utenti, un danno che avrebbe certamente portato al fallimento della compagnia.
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La società di trasporto privato ha però precisato che “non tracciamo assolutamente gli utenti o la loro posizione dopo che hanno cancellato l’applicazione”.
Una precisazione che serve a ben poco almeno dal punto di vista dell’immagine nonostante oggi Uber sia una realtà da 70 miliardi di dollari che opera in più di 70 Paesi.
Non è la prima volta che Uber usa pratiche discutibili. Come tracciare elettronicamente gli autisti dei servizi rivali. Ma è anche stato accusato di aver sottratto a Google dei progetti per la guida autonoma e di usare stratagemmi per evitare che i suoi autisti vengano controllati dalle autorità.
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Non proprio una bell’immagine di azienda trasparente quella trasmessa dal suo ceo Travis Kalanick pronto a tutto pur di non arrivare al successo.
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