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Greenwashing spiegato: definizione efficace ed esempi concreti per riconoscere le pratiche ingannevoli nel marketing.

  • Redazione Assodigitale
  • 10 Luglio 2025
Greenwashing spiegato: definizione efficace ed esempi concreti per riconoscere le pratiche ingannevoli nel marketing.

Greenwashing: definizione e significato

Il greenwashing è un fenomeno in crescita che si nutre della crescente consapevolezza ambientale dei consumatori. Questa pratica si manifesta quando aziende, fondi di investimento e istituzioni cercano di promuovere una falsa immagine di responsabilità ecologica. Offrendo prodotti o servizi come eco-sostenibili, queste entità enfatizzano gli aspetti positivi delle loro attività, mentre al contempo nascondono o minimizzano i loro reali impatti ambientali negativi. La comunicazione greenwashing è caratterizzata da informazioni poco chiare, dati privi di validazione da parte di autorità indipendenti e focalizzazione su specifiche caratteristiche di un prodotto, disattendendo una valutazione globale del suo ciclo di vita.

Questo comportamento è stato denunciato per la prima volta dall’ambientalista Jay Westerveld nel 1986, in relazione a catene alberghiere che promuovevano il riutilizzo della biancheria per ridurre i costi piuttosto che per il bene dell’ambiente. Le dinamiche del greenwashing non sono quindi nuove, ma sono diventate sempre più sofisticate nel tentativo di accattivarsi il favore di un pubblico sempre più attento e critico riguardo alle pratiche sostenibili. Un fenomeno più recente ha ridestato l’attenzione verso le aziende che si avvalgono di marketing ingannevole, utilizzando claim poco fondati per presentarsi come leader nella sostenibilità.

La responsabilità dei consumatori è cruciale in questo contesto, poiché possono contribuire a smascherare il greenwashing attraverso la richiesta di maggiore trasparenza e la promozione di pratiche aziendali realmente responsabili. In definitiva, il termine greenwashing rappresenta non solo una strategia di marketing, ma anche un tema rilevante per le politiche ambientali e di consumo consapevole, sottolineando l’importanza della verità e dell’azione concreta nel segmento della sostenibilità.

I 6 tipi di greenwashing

Un’analisi approfondita condotta da Planet Tracker ha identificato sei forme principali di greenwashing, ognuna con modalità distintive di inganno dei consumatori. Il primo tipo è il **greencrowding**. Questo fenomeno si verifica quando un’azienda tenta di nascondere la propria scarsa responsabilità ambientale rifugiandosi nell’adeguarsi alle pratiche del gruppo, confidando che la massa non venga scrutinata. La conseguenza è che le politiche di sostenibilità seguono in modo selettivo e non critico le azioni del competitor più lento, riducendo l’efficacia delle strategie comuni.

Il secondo, **greenlighting**, si rilancia sulla pratica di enfatizzare particolari caratteristiche ecologiche di prodotti o operazioni, per dirottare l’attenzione dalle attività aziendali meno sostenibili. Questo rende difficile per i consumatori discernere l’entità reale dell’impatto ambientale dell’azienda. Il **greenshifting**, invece, implica il trasferimento della responsabilità ambientale sui consumatori stessi, inducendoli a sentirsi colpevoli per gli effetti dell’uso dei prodotti, dimenticando che le aziende devono presentare con chiarezza le loro pratiche.

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Il quarto tipo, **greenlabelling**, si riferisce a pratiche di marketing che utilizzano termini evocativi legati al “green”, senza una sostanziale corrispondenza con le realtà ambientali del prodotto, rendendo fuorvianti le etichette. Passando a un altro tipo, il **greenrinsing**, le aziende danno l’impressione di raggiungere obiettivi di sostenibilità, cambiando frequentemente le proprie metriche di riferimento, così da confondere il mercato sui veri progressi ottenuti.

Il **greenhushing** è una pratica sempre più frequente, in cui le aziende evitano di comunicare le proprie credenziali di sostenibilità per timore di affermare l’inesattezza delle loro realizzazioni, riducendo ulteriormente la trasparenza e il dialogo critico con i consumatori. Comprendere queste categorie è essenziale per individuare comportamenti di greenwashing e spingere verso una maggiore responsabilità ambientale.

I 7 peccati del greenwashing

TerraChoice ha delineato sette peccati distintivi che caratterizzano le pratiche di greenwashing, offrendo un quadro utile per riconoscere e valutare le affermazioni ambientali di un’azienda. Il primo peccato, **falsa scelta**, si verifica quando un brand propone una limitata gamma di opzioni che sembrano ecologiche, ma ignora del tutto altre alternative con impatti ambientali peggiori, ingannando i consumatori sulla reale disponibilità di scelte sostenibili.

Il secondo peccato, **mancanza di prove**, avviene quando un’azienda afferma di essere sostenibile senza fornire evidenze scientifiche o dati concreti a sostegno delle proprie dichiarazioni, creando un’illusione di responsabilità ambientale. Il terzo peccato, **vaghezza**, si manifesta attraverso l’uso di termini generici e poco chiari, come “green” o “naturale”, che possono disorientare i consumatori. Queste espressioni, infatti, non corrispondono a metriche di sostenibilità verificate e possono mascherare pratiche non sostenibili.

Il quarto peccato, **irrilevanza**, si verifica quando una società evidenzia come un vantaggio qualcosa che in realtà è già richiesto dalla legge, come ad esempio dichiarare che un prodotto non contiene sostanze pericolose quando la normativa le vieta. Il quinto peccato, **male minore**, riguarda le affermazioni che enfatizzano miglioramenti minimi rispetto ai concorrenti, indirizzando l’attenzione su progressi che, nel complesso, non attenuano l’impatto negativo della categoria di prodotto.

Il sesto peccato, **menzogna**, si riferisce a dichiarazioni palesemente false riguardo ai benefici ambientali di un prodotto o servizio, violando così la fiducia dei consumatori. Infine, il settimo peccato, **falsa certificazione**, implica l’uso di etichette che sembrano affidabili ma non rispettano alcuno standard di certificazione riconosciuto, creando confusione e truffando i consumatori. Riconoscere questi peccati permette ai consumatori di fare scelte più informate e consapevoli.

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Il greenwashing nella normativa

Con l’evoluzione della sostenibilità come driver di competitività, la necessità di un inquadramento legale del greenwashing è diventata evidente per garantire una concorrenza equa e proteggere i consumatori. In Europa, la Tassonomia UE, approvata dal Parlamento nel 2020, offre una definizione chiara di attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. Ulteriormente, la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) richiede ai fondi di investimento di chiarire l’allineamento dei propri asset con tali normative, classificando i prodotti finanziari in tre categorie: articolo 6 (senza obiettivi di sostenibilità), articolo 8 (che promuovono caratteristiche ambientali e sociali) e articolo 9 (focalizzati su risultati ESG specifici).

Negli ultimi anni, i requisiti normativi più stringenti hanno costretto molte aziende a rivedere il loro posizionamento, con un declassamento dei fondi a causa del rischio di violazione delle normative. Le linee guida dell’ESMA (European Securities and Markets Authority) stabiliscono che per menzionare la sostenibilità nel nome dei fondi, questi devono investire almeno l’80% del patrimonio secondo criteri ESG.

Parallelamente, la Commissione Europea ha avviato una revisione della regolamentazione sul greenwashing in ambito non finanziario. Nel 2022, è stata emessa una richiesta di feedback alle autorità di vigilanza europee riguardo ai rischi associati a queste pratiche. Le autorità hanno lanciato una Call for Evidence per comprendere meglio la situazione e le sfide che affrontano nel contrastare il greenwashing.

Lo studio di riferimento del 2020 ha evidenziato che il 53,3% delle affermazioni ambientali analizzate nell’Unione Europea erano vaghe o fuorvianti, con il 40% che risultava completamente infondato. Questo ha spinto a sviluppare un’architettura normativa che comprende due direttive principali: la direttiva UE 2024/835, nota come “direttiva Empowering”, e la proposta di direttiva 2023/166, denominata “direttiva Greenwashing”.

La direttiva Empowering si occupa di responsabilizzare i consumatori nella transizione verde, chiarendo la definizione di “green claim” e imponendo divieti su pratiche ingannevoli come l’uso di espressioni vaghe o loghi privi di certezze. Da parte sua, la direttiva Green Claims regolerà le affermazioni ambientali dirette ai consumatori, garantendo la loro affidabilità e verificabilità, attraverso un sistema di certificazione ex ante gestito da organismi indipendenti accreditati. Questi sviluppi rappresentano passi significativi nella lotta al greenwashing e nella promozione di pratiche aziendali realmente sostenibili.

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Come riconoscere il greenwashing

Per identificare i marchi che cadono nella pratica del greenwashing, è fondamentale che i consumatori adottino un approccio critico e attento nei confronti delle affermazioni ambientali. Secondo linee guida della Federal Trade Commission degli Stati Uniti, esistono diverse strategie efficaci per valutare l’autenticità di un claim. In primo luogo, è opportuno cercare etichette che forniscano informazioni chiare e comprensibili riguardo all’impatto ambientale positivo di un prodotto, evitando frasi vaghe o eccessivamente promozionali.

Le affermazioni di marketing devono specificare chiaramente se si riferiscono all’imballaggio, al prodotto stesso, o a entrambe le componenti. La chiara definizione dei vantaggi ambientali è essenziale; un linguaggio esagerato, che suggerisce benefici maggiori rispetto al reale impatto, è un segnale di allerta. Inoltre, quando si confrontano prodotti di diversi marchi, è importante chiedere prove concrete a supporto delle affermazioni avanzate, per garantire che non si tratti di marketing ingannevole.

Monitorare indicatori chiave può essere utile per valutare la credibilità delle dichiarazioni ambientali. La presenza di certificazioni riconosciute, come l’Ecolabel UE o il FSC, è un buon segnale. Occorre inoltre verificare coerenza tra le affermazioni e le azioni concrete del marchio, insieme alla disponibilità di dati quantitativi e verificabili su impatti ambientali, come percentuali di riduzione delle emissioni di carbonio o analisi del ciclo di vita.

Il linguaggio utilizzato nelle affermazioni è anch’esso indicativo; una maggiore precisione è generalmente correlata a pratiche più affidabili. Infine, esaminare la presenza di impegni a lungo termine e aggiornamenti regolari sul progresso verso la sostenibilità offre un ulteriore livello di trasparenza. Le aziende impegnate in pratiche sostenibili hanno interesse a fornire agli utenti gli strumenti necessari per verificare la loro autenticità, come rapporti di sostenibilità basati su standard riconosciuti.

La consapevolezza dei consumatori gioca un ruolo cruciale in questo contesto. Essi hanno il potere di chiedere trasparenza, segnalare pratiche scorrette agli organismi competenti e premiare le aziende realmente responsabili attraverso le loro scelte di acquisto. Un coinvolgimento attivo e informato può contribuire a contrastare il greenwashing e promuovere una cultura di responsabilità ambientale.

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