GREEN BOOK di Peter Farrelly. Recensione di Alessandra Basile
GREEN BOOK di Peter Farrelly
di Alessandra Basile
Recensione del film pluricandidato agli Oscar e già vincitore di diversi riconoscimenti nel 2018.
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Il rude Tony Lip, che è un buttafuori di locali notturni frequentati anche da mafiosi con i quali si ritrova mezzo invischiato, è però uno di buon cuore, solo un pò rozzo e, senza andare troppo per il sottile, con l’occhio lungo per il soldo, destinato in primis a moglie e figli; ecco perché accetta lavori e lavoretti, senza granché guardare alla natura degli stessi purché sia pagato, e sfide di ogni tipo che, come lui stesso ammette con una punta di orgoglio, vince sempre; p.e. recupera 50 dollari – siamo nei primi anni 60, si tratterebbe oggi di un somma sui 350€ – ingurgitando ben 26 hotdog in un’ora e così battendo un grassone il cui record era stato in precedenza 19. Lui è così. E fuma e mangia in ogni momento del giorno e, se non dorme, della notte.
Ma la sua serenità, la semplicità e l’affetto con cui vive qualsiasi evento e incontra qualsiasi persona lo salvano e lo fanno amare da chi gli è vicino e deve sopportare i suoi modi maneschi, oltre che privi di educazione formale e persino scolastica. È noto da anni fra i suoi amici per sparare sciocchezze e sapere convincere la gente a credere o fare cose che non farebbe, grazie proprio alla sua abilità persuasiva seppur non corroborata da chissà che principii o verità. A suo modo è sano, vero e sa perfettamente chi sia. A differenza di Don: chic, manierato foese un pelo troppo, bello, alto e slanciato, attento a come si rivolge agli altri, a come si esprime e a cosa mangia, dotato di un talento musicale d’eccezione che l’ha salvato da un destino professionale e di vita relegato alle sole persone di colore, ma anche imprigionato in un’immagine di sé, soprattutto per il mondo esterno, da perfetto damerino, da artista gentiluomo, da garbato manager di successo e.. da uomo estremamente infelice e solo.
L’incontro fra i due è esplosivo, con gag e momenti comici a non finire, ma in breve, costretti a stare insieme nei lunghi viaggi da uno stato all’altro per il tour di Don, si conosceranno nel profondo e si aiuteranno a vicenda, l’uno migliorando l’altro, in un modo costruttivo e insieme molto commovente per lo spettatore che uscirà dal cinema speranzoso nella bontà delle persone.
L’appartenenza e il razzismo
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Un momento delicato del film, uno fra i tanti in verità e forse per questo andrebbe rivisto altre 3 volte prima di valutarlo, è quando lo scambio fra i 2 personaggi è teso perché il tema è l’autoconsapevolezza, il sapere chi siamo, da dove veniamo, dove viviamo. Don accusa Tony di essere parte di quella categoria, i bianchi, che fanno le regole, regole ingiuste che nulla hanno a che vedere, per esempio, con capacità doti e impegno, ma solo con il colore della pelle, cosa di cui il musicista soffre profondamente; purtroppo siamo, nel film, nell’epoca dell’odio razziale ammesso ex lege, sebbene per fortuna sotto la presidenza di J.F. Kennedy contraddistinto anche dai suoi inviti, più volte ripetuti nei suoi discorsi pubblici, alla tolleranza tra bianchi e neri.
Tony accusa Don di essere meno nero di lui, di non conoscere né apprezzare, come Tony, la sua gente, a cominciare da alcuni artisti geniali come, nell’ambito musicale, Aretha Franklin. I due discutono animatamente ma ciò che veramente fa riflettere è il senso di appartenenza che a volte non è così chiaro per tutti e può causare grandi sofferenze in chi non sente di essere una ‘cosa’ specifica e quanti di noi capiscono questo concetto e le relative sensazioni? In particolare, i temi qui sono grossi e attuali e la frase a Tony li sintetizza: ‘Se per te non sono abbastanza nero e per loro non sono abbastanza bianco e se non sono abbastanza uomo, allora dimmi chi diavolo sono io!’
La regia e il cast
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La regia è di Farrelly, noto soprattutto per commedie demenziali come ‘Scemo + scemo’ o ‘Tutti pazzi per Mary’ diretto con il fratello Bob, perciò, a mio modesto parere, stupisce la scelta di questo regista per un film di tipo diverso, drammatico con venature comiche, ma, del resto, leggendo il nome degli sceneggiatori compare anche il suo, quindi deve averci creduto. E si vede. E lo ha fatto anche grazie alle vicende narrate dal figlio del vero Anthony Vallelonga, Nick, anch’egli infatti fra gli sceneggiatori di questo magnifico film.
Tra gli attori, la brava e dolce Linda Cardellini nei panni della moglie devota e intelligente di Tony: un ruolo piccolo ma importante. Quanto ai bravissimi protagonisti, per me sarebbe una dura lotta la scelta del numero uno, ma M. Ali, già vincitore dell’Oscar come migliore attore non protagonista in ‘Moonlight’ (2016), è fra i candidati nuovamente all’Academy Award for Best Supporting Actor e, per stessi categoria e film, ha vinto, in particolare, il Bafta, il Golden Globe e lo Screen Actor Guild nel 2018.
- Morgensen è stato nominato ai prossimi Oscar come miglior attore protagonista e, nella stessa categoria per lo stesso film, ha vinto, in particolare, lo Screen Actor Guild e ai British Independent Film Awards. Gli Oscar di questo febbraio non sono scontati: il livello dei nominati è forse più alto del solito.
L’Italia, invece, con le sue commediole facili e le canzoncine che prendono la massa, quelle sentite e risentite che piacciono sempre e illudono di far assistere a chissà che opera filmica, con le sceneggiature carenti magari scritte da registi invece che da esperti, c.d. sceneggiatori (!), e i cast di facce stra-note ma non necessariamente … espressive né adatte ai ruoli, alle storie, ai film nei quali primeggiano, ecco questa Italia, ben diversa da quella degli anni ruggenti di De Sica, Rossellini, Visconti, Pasolini, Fellini, Scola, Antonioni, Monicelli, Salce e poi attori come Sordi, Valeri, Vitti, Tognazzi, Vitti, Magnani, Melato, Mangano e non basterebbero 10 pagine a ricordarli tutti, questa Italia agli Oscar non arriva; è succcesso come eccezione (Benigni – ‘La vita è bella’, Sorrentino – ‘La grande bellezza’, Rosi, solo nomina – Fuocoammare’, ..) o per i costumi e per le musiche (un plauso a Ennio Morricone che porta alta la nostra bandiera nel mondo), ma quanto fatica fa la nostra Italia ad ammettere il suo degrado filmico oggi rispetto al passato e ad uscire dal mare in cui naviga.
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Vederlo?
– Sì. Assolutamente. Direi d’obbligo vederlo (scherzo, perché invece sarà un piacere, per tutti). La storia è vera, la regia e la sceneggiatura ce la regalano adattata al grande schermo, gli attori ce la fanno vivere da vicino. Si esce felici dal cinema dopo aver visto un film così. Voto: 10!
Alessandra Basile
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