Gossip e retroscena della Cerimonia di Premiazione della Serata degli Oscar 2013

Stanotte, in una isolata residenza nelle Pacific Palisades di Los Angeles, qualcuno ha probabilmente sbattuto la porta di ingresso usando più violenza del solito: sarebbe lecito immaginarsi uno Steven Spielberg su tutte le furie, incollerito – a dispetto della fede ebraica – con tutti i santi del calendario, impegnato a rintracciare sull’elenco telefonico di New Orleans il recapito del massimo esperto locale in bambole voodoo.
Lo sapevi che chiedere la pubblicazione di comunicati stampa promozionali gratuitamente è evasione fiscale. ==> LEGGI QUI perchè.
Nonostante la solidarietà degli allibratori, è proprio il veterano di Cincinnati a subire lo scorno peggiore, superato ancora una volta – dopo il precedente di Munich, sbaragliato dal più conciliante I segreti di Brokeback Mountain – da quel cineasta taiwanese che al suo onnicomprensivo, ineguagliato bagaglio (due Leoni d’Oro, due Orsi d’Oro, due Oscar e due Globi d’Oro) ha aggiunto ieri una seconda, e francamente sproporzionata, statuetta per la miglior regia: persino il più filo-europeista, intransigente e disdegnoso detrattore della poetica spielbergiana, di fronte alla perfezione formale e autoriale di Lincoln, ha dovuto chinare il capo e individuare nel ritratto del sedicesimo presidente americano il ritorno dell’artefice di Schindler’s List ad uno stato di grazia ravvisabile soltanto nei suoi capolavori già storicamente irrefutabili.
Ang Lee, dopo aver razziato prevedibilmente riconoscimenti tecnici decisivi (colonna sonora, fotografia ed effetti speciali visivi), ha sferrato il colpo di coda più sorprendente della serata, imponendosi su una concorrenza “anestetizzata” e che, già priva dell’altrove premiatissimo Ben Affleck, della quasi “ostracizzata” Kathryn Bigelow, dell’idolatrato Quentin Tarantino e dello scatenato Paul Thomas Anderson, aveva subito l’invasione di outsider forse più meritevoli, ma sideralmente lontani da una possibile vittoria.
Per il resto, nelle categorie principali si sono imposti i favoriti della prima ora, panzer macinapremi che dai Golden Globes ad oggi si sono effettivamente aggiudicati tutto l’aggiudicabile, compreso un Christoph Waltz che, nella cinquina più imperscrutabile, ha replicato dopo appena tre edizioni il trionfo che gli indicò la strada di Hollywood e che oggi lo lega indissolubilmente al nome del suo bizzoso talent scout di Knoxville: nessuna sorpresa, nonostante la presunta rimonta di Emmanuelle Riva, guadagnatasi il cruciale BAFTA due settimane fa, per l’affermazione della irresistibile Jennifer Lawrence, che inciampando sulla scalinata e tartagliando un emozionatissimo discorso, contagia la platea con il suo fascino svampito e acerbo; anche Anne Hathaway, facilitata da rivali agguerrite ma fondamentalmente inoffensive, ha portato a compimento il cursus honorum che l’ha vista carismatica mattatrice, fra Nolan e Hooper, della stagione in corso; chiamato sul palco da una Meryl Streep accolta come una manifestazione divina e – letteralmente – senza bisogno di presentazioni, Daniel Day-Lewis ha agguantato il suo terzo Oscar per la miglior interpretazione maschile (ora ne basta uno pre eguagliare il record di Katherine Hepburn) senza che ci si dilungasse a creare suspense, anzi, con la sensazione che la busta con il nome del vincitore non fosse stata nemmeno aperta.
Michael Haneke, assimilata l’imperdonabile sconfitta del 2010, si assicura finalmente il consenso del vasto pubblico statunitense dopo venticinque anni di meraviglie rimaste a lungo beneficio di pochi, ma viene da pensare che la rigorosa, impeccabile carriera del regista monacense si sia assestata su livelli di tale grandezza e astrazione da considerare l’Oscar solo un bizzarro soprammobile.
Qualche sobbalzo è venuto dal mondo dell’animazione, che ha trovato nel nuovo capitolo della fase calante di casa Pixar il suo inatteso dominatore, una decisione che risulta ancora più sconcertante alla luce di un’annata che ha ispirato ai suoi competitori meno prestigiosi (la “nuova” Disney, la Dreamworks e la Sony) progetti indubbiamente più interessanti (da Paranorman a Pirati! Briganti da strapazzo, senza dimenticare il finalista mancato Le 5 leggende) e sinceramente superiori al prodotto ormai pigro e routinario di Lasseter e compagni.
Fra i documentari, la trascinante e raggiante parabola musicale di Searching for Sugar Man non delude i favorevolissimi pronostici e lascia ben sperare in una prossima distribuzione nelle sale italiane, così come i campioni annunciati fra i cortometraggi live-action e animati, rispettivamente l’iridatissimo Curfew, firmato dal musicista indipendente Shawn Christensen, leader dei stellastarr*, e l’amato Paperman, piccola delizia targata Disney che funge da apripista per il lungometraggio Ralph Spaccatutto.
Rispettando il giudizio della Writers Guild of America, Django Unchained e Argo vedono premiate le proprie sceneggiature, con il primo a confermare un po’ discutibilmente il primato del Tarantino autore sul Tarantino metteur en scène e il secondo a dare il la alla pur flebile e dimessa acclamazione del “riemergente” Ben Affleck, che, dopo il montatore William Goldenberg, ha raggiunto la scena in compagnia dei coproduttori Grant Heslov (L’uomo che fissa le capre) e George Clooney raggranellando così un bottino ammontante a tre misere, ancorché determinanti, statuette.
E fra gli ulteriori rinforzi a Les Miserables (per il sonoro in presa diretta, naturalmente, e, un po’ più inopinatamente – visto un antagonista “specializzato” come Lo hobbit – per il trucco e le acconciature), un contentino allo sfarzo di Anna Karenina (migliori costumi) – che però viene battuto in ambito scenografico da Lincoln – e l’invocata, acclarata vittoria di Adele con il suo ormai paradigmatico tema bondiano, spicca l’ex-aequo spartito fra Zero Dark Thirty e Skyfall per i migliori effetti sonori, circostanza rarissima che, nello specifico, non si verificava dal 1994, quando Franz Kafka’s “It’s a Wonderful Life” e Trevor si trovarono a condividere il premio per il miglior cortometraggio.
Non buttare via soldi per comprare contenuti effimeri sui social media. ==> LEGGI QUI perchè.
E in una cerimonia inusitatamente sobria nella quale lo spregiudicato Seth McFarlane ha saputo tenersi a freno e offrire uno spettacolo stuzzicante e non eccessivamente improntato sul politicamente scorretto (salvo una esilarante, cattivissima freddura su Lincoln, “che è stato interpretato negli anni ’40 anche da Raymond Massey, ma ad essere sinceri l’attore che è riuscito ad entrare meglio nella sua testa è stato John Wilkes Booth”), resteranno molti i momenti indimenticabili, dalle celebrazioni del cinquantenario su celluloide dell’agente 007, con una ritrovata Shirley Bassey a intonare Goldfinger, alla lunga parentesi canterina che ha visto i brani cardine dei recenti Chicago, Dreamgirls e Les Miserables reinterpretati dal vivo dai loro protagonisti, passando per il tradizionale, commovente in memoriam (questa volta insolitamente completo: all’appello mancava soltanto Gore Vidal), culminato con l’esibizione di una commossa Barbra Streisand nel tema musicale di Come eravamo, fino all’annuncio del miglior film effettuato a distanza nientemeno che dalla first lady Michelle Obama.
Certo, alla fine, come di consueto, resta l’impressione di un verdetto accomodante e incompleto (Re della terra selvaggia e The Master, le due migliori opere filmiche di produzione USA degli ultimi dodici mesi, sono rimasti totalmente a secco), ma poche volte come quest’anno l’Academy è riuscita a radunare un’antologia di cinema euroamericano di livello così globalmente alto, con un ininfluente paio di titoli a compromettere la media finale.
La festa è finita: ora è già tempo di pensare al 2014.
Sostieni Assodigitale.it nella sua opera di divulgazione
Grazie per avere selezionato e letto questo articolo che ti offriamo per sempre gratuitamente, senza invasivi banner pubblicitari o imbarazzanti paywall e se ritieni che questo articolo per te abbia rappresentato un arricchimento personale e culturale puoi finanziare il nostro lavoro con un piccolo sostegno di 1 chf semplicemente CLICCANDO QUI.