Gli attacchi coi droni avrebbero causato un gran numero di vittime civili secondo Amnesty International che accusa gli Stati Uniti
Amnesty International e Human Rights lanciano dure accuse nei confronti degli Stati Uniti, accusandoli di ricorrere in modo illimitato ed eccessivo all’utilizzo dei droni, gli aerei senza pilota, per bombardare Yemen e Pakistan.
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Secondo il rapporto, dal titolo “Will I be next? US drone strikes in Pakistan”, presentato a Londra da Amnesty International, attraverso gli attacchi condotti con i droni, le forze armate americane avrebbero provocato un gran numero di vittime tra i civili.
La realtà che emerge dal rapporto di Amnesty pare quindi molto diversa rispetto a quella che l’amministrazione Obama ha spesso descritto nei mesi scorsi, quando presentava questo tipo di azioni militari, condotte e pianificate dalla Cia come “un trionfo con poche ricadute negative”. Il governo americano sostiene, infatti, che dall’inizio dell’utilizzo dei droni, nel 2008, sono stati compiute circa 300 operazioni, nelle quali sarebbero stati eliminati un gran numero di talebani e appartenenti ad Al Qaeda e come queste operazioni siano, da sempre, “chirurgiche e limitate”, riuscendo a coniugare la lotta al terrorismo con la salvaguardia dell’incolumità dei civili.
Il quadro dipinto da Amnesty International e Human Rights è però totalmente opposto a quello descritto dalle autorità statunitensi. L’organizzazione internazionale per i diritti umani ha messo sotto la sua lente d’ingrandimento gli attacchi che sono stati condotti nel Waziristan, regione al confine tra Pakistan e Afghanistan. Nei 45 attacchi condotti nel periodo compreso tra il gennaio 2012 e l’agosto di quest’anno i droni avrebbero causato la morte di un gran numero di civili. Nel rapporto si legge ad esempio della morte, in soli due attacchi, di 20 persone non riconducibili ad organizzazioni terroristiche: in altri termini, semplici civili.
Amnesty cita come zona più colpita dagli attacchi condotti dagli aerei senza pilota, quella del villaggio di Miram Shah, dove i droni hanno condotto azioni per ben tredici volte negli ultimi cinque anni. Nel rapporto si definiscono il villaggio e le aree ad esso circostanti come “l’area urbana più devastata dalla guerra al mondo, dove i residenti vivono nel terrore e nella privazione di ogni tipo di legge e giustizia”.
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Nel rapporto si descrive come i civili residenti in quest’area debbano vivere, da un lato, nel terrore dei droni americani e, dall’altro lato, delle violenze dei terroristi a cui gli Usa danno la caccia, i quali non esitano a togliere la vita a “chiunque sia sospettato di essere una spia americana”.
“Will I be next? US drone strikes in Pakistan” si avvale anche di interviste ai sopravvissuti e di materiale video e fotografico. Proprio alcune immagini e riprese satellitari svelerebbero gli errori commessi dai droni americani che, in alcune circostanze, avrebbero bombardato alcune aree non rientranti in quelle nelle quali è accertata la presenza di appartenenti alle forze talebane o ad Al Qaeda.
Le richieste di Amnesty International, che definisce quanto descritto dal proprio rapporto come “crimini di guerra e violazione della legge internazionale” da parte delle forze armate americane, al presidente Obama, è quella di ordinare lo stop all’utilizzo dei droni.
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