Socar e il suo ruolo in Svizzera
Socar, l’azienda energetica statale dell’Azerbaijan, riveste un’importanza cruciale nel panorama economico e politico della Svizzera, con circa 200 stazioni di servizio sparse sul territorio elvetico. L’azienda rappresenta non solo una fonte primaria di introiti per il governo azeri, ma svolge anche un ruolo significativo nell’economia svizzera, contribuendo a un flusso di capitali sgradito a causa della sua associazione con controversie politiche e diritti umani.
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Con il recente consolidamento della sua presenza in Svizzera, Socar ha attirato l’attenzione dei media e delle organizzazioni non governative, in particolare a seguito della situazione geopolitica in Nagorno-Karabakh, che ha visto il governo azerbaigiano intraprendere azioni militari contro l’Armenia. Queste operazioni, secondo organizzazioni come NGO Urgewald, sono state definite come potenzialmente costituenti crimini di guerra, date le conseguenze devastanti per la popolazione armena della regione e le segnalazioni di pulizia etnica.
Nonostante i proclami di “energia verde” e iniziative per la ricostruzione sostenibile, come indicato nel piano climatico nazionale presentato dall’Azerbaijan all’ONU, la dualità della strategia di Socar—che promuove investimenti in progetti di energia rinnovabile mentre sostiene un regime controverso—solleva interrogativi sulla coerenza delle politiche aziendali e sulla loro conformità ai valori democratici e ai diritti umani.
La crescente critica nei confronti di Socar ha portato a sfide significative per i suoi partner commerciali in Svizzera. L’azienda stessa si trova al centro di un dibattito che esamina la responsabilità delle multinazionali nella promozione della stabilità e del rispetto dei diritti umani, creando una rete di tensioni tra affari, etica e politica.
Controversie legate ai diritti umani
La situazione dei diritti umani in Azerbaigian, in particolare in relazione all’operato di Socar, ha attirato l’attenzione internazionale, tornando a sollevare preoccupazioni ed evidenziando le pratiche oppressive del governo di Baku. Negli ultimi anni, le accuse di violazioni delle libertà civili e repressione di dissenso sono aumentate, spingendo le organizzazioni non governative e i gruppi per i diritti umani a richiamare l’attenzione sulla complicità di Socar nel mantenere il regime autoritario. Secondo vari esperti, la compagnia non solo sostiene il contesto economico del governo, ma funge anche da strumento di propaganda nazionale.
Le recenti operazioni militari contro il Nagorno-Karabakh, definite da alcuni esperti come “pulizia etnica”, hanno esacerbato queste preoccupazioni. ONG come Urgewald e il Bankwatch Network hanno denunciato il ruolo di Socar, sottolineando come le sue operazioni economiche possano indirettamente finanziare conflitti e repressione. Le affermazioni secondo cui il governo di Baku utilizza risorse finanziarie generate da Socar per reprimere dissenso e perseguire attivisti politici avvalora la narrativa secondo cui la compagnia non è soltanto un attore economico, ma anche un facilitatore delle politiche statali oppressive.
Il professor Goyushov ha messo in evidenza come Socar serva come “spina dorsale del governo”, suggerendo che la sua influenza e potere economico sostengano le violazioni dei diritti umani nel paese. La repressione di voci critiche ha portato a condanne di giornalisti e membri della società civile, mentre le istituzioni internazionali continuano a monitorare la situazione. Il collasso della libertà di stampa in Azerbaigian, come riportato da Reporters Without Borders, pone interrogativi sulla responsabilità delle aziende straniere, come Socar, nel contesto del rispetto dei diritti umani e della governance.
In questo contesto, la posizione di Socar diventa sempre più precaria. La pressione internazionale sta crescendo e aziende e stati, inclusa la Svizzera, si trovano a dover affrontare dilemmi etici complessi legati ai diritti umani. Questa situazione solleva interrogativi su come il commercio possa interagire con le pratiche governative nei paesi in difficoltà, richiedendo una riflessione approfondita su come le aziende globali possano agire responsabilmente in contesti ad alto rischio di violazioni dei diritti umani.
Pressione su Migros e collaborazioni commerciali
Il coinvolgimento di Migros, una delle maggiori catene di distribuzione della Svizzera, con Socar ha suscitato un crescente interesse e preoccupazione tra l’opinione pubblica e le istituzioni governative. La partnership attraverso la filiale Migrolino, che acquisì stazioni di servizio da Esso nel 2012, è ora al centro di un acceso dibattito legato ai diritti umani e alle responsabilità aziendali. Civile società e organizzazioni non governative, inclusa l’Associazione svizzero-armena, hanno espresso forti condanne per questo accordo, ritenendolo inaccettabile in considerazione delle violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime azero.
Dopo la recente escalation di tensioni in Nagorno-Karabakh, alcuni membri del Parlamento svizzero hanno scritto una lettera al ministro degli Esteri, Ignazio Cassis, esprimendo la loro indignazione per la connessione commerciale tra Migros e Socar. Il contenuto della lettera evidenziava come, a giudizio dei firmatari, la Svizzera non dovesse essere complice nel “finanziare attacchi militari e pulizia etnica,” sottolineando la necessità di una riflessione critica sulle pratiche commerciali con entità legate a governi repressivi.
Un portavoce del ministero degli Esteri svizzero ha affermato che il governo si aspetta che le aziende operanti in Svizzera rispettino i diritti umani nelle proprie attività commerciali. La posizione di Migros è stata chiara riguardo al fatto che, pur non avendo contatti diretti con il governo azero, si trova vincolata da contratti a lungo termine con Socar Energy Switzerland. Estelle Hain, portavoce di Migros, ha espresso rammarico per le tensioni generate dalla situazione geostrategica e ha chiesto il dialogo e la diplomazia come mezzi per risolvere conflitti, ma le sue affermazioni non hanno placato le critiche.
La crescente pressione pubblica e istituzionale mette in discussione non solo il futuro della partnership, ma anche il modello di business di Migros, che deve ora navigare tra le responsabilità etiche e le imperativi commerciali. La situazione sta sollecitando un ripensamento complessivo su come le aziende svizzere possano conciliare le loro operazioni con i principi di governance responsabile e rispetto per i diritti umani, evidenziando l’importanza di impegnarsi in pratiche commerciali etiche, specialmente in contesti geopolitici complessi e controversi.
Indagini su pagamenti sospetti a Ginevra
La filiale commerciale di Socar a Ginevra ha attirato l’attenzione sia dei media che delle autorità in seguito a una serie di inchieste su operazioni finanziarie controversie. Recenti studi condotti da organizzazioni come Public Eye hanno messo in luce pratiche dubbie riguardo a un accordo di costruzione di una centrale elettrica a Malta avvenuto nel 2017. In tale contesto, sono state segnalate commissioni “sospette” che ammontano a milioni di dollari, dirette a una società con sede a Dubai, conosciuta come 17 Black.
Socar Trading ha detenuto una quota del 33% nel progetto Eurogas, che doveva gestire il gas naturale liquefatto proveniente dall’Azerbaijan. L’inchiesta del Daphne Project ha rivelato una connessione tra Socar Trading e Yorgen Fenech, un imprenditore maltese attualmente in carcere per il suo presunto coinvolgimento nell’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia. Quest’ultima stava indagando su operazioni di riciclaggio di denaro e ha ricevuto recenti comunicazioni riservate riguardo al progetto Eurogas.
Le inchieste suggeriscono che fondi siano stati trasferiti a una società offshore di Fenech attraverso un intermediario azero, il quale avrebbe colluso con funzionari maltesi per eseguire pagamenti illeciti. La rilevanza di tali scoperte è accentuata dal contesto di corruzione e malaffare che ha afflitto non solo l’Azerbaijan ma anche Malta negli ultimi anni, creando un clima di crescente sfiducia nell’integrità delle operazioni commerciali internazionali di Socar.
In aggiunta, si è scoperto che Mariam Almaszade, la direttrice dell’ufficio di Socar a Ginevra, ha ricoperto un ruolo chiave non solo nel gestire gli affari di trading ma anche nella supervisione delle operazioni finanziarie legate a Fenech, sebbene abbia ripetutamente negato di avere conoscenza dei trasferimenti sospetti. L’interesse dei media e delle autorità per queste indagini si intensifica mentre la società cerca di mantenere un’immagine positiva e di risposta alle crescenti pressioni riguardo le sue pratiche commerciali nei confronti dei diritti umani e della governance.
Reazioni della comunità internazionale e sforzi diplomatici
La comunità internazionale ha manifestato una crescente preoccupazione per il ruolo di Socar e delle sue operazioni in Svizzera e oltre, specialmente alla luce della recente situazione in Nagorno-Karabakh. Le organizzazioni per i diritti umani e i governi stranieri hanno intensificato i loro appelli affinché venga esercitata pressione su Baku. In questo contesto, la Svizzera, nota per la sua tradizione di intervento diplomatico, si trova a dover affrontare un dilemma non indifferente: mantenere relazioni commerciali proficue con Socar o seguire una linea etica e di rispetto dei diritti umani.
Diversi esponenti politici e ONG hanno chiesto azioni concrete, come il rafforzamento delle politiche di responsabilità sociale da parte delle aziende svizzere che operano in ambiti sensibili. Le affermazioni fatte da membri del Parlamento svizzero sottolineano la necessità di una riflessione critica sulla cooperazione commerciale con entità legate a regimi accusati di violazioni sistematiche dei diritti umani. Nel loro intervento, si è espresso l’auspicio che la Svizzera possa non solo evitare di essere vista come un complice nel finanziamento di conflitti, ma anche rivestire un ruolo da mediatore nella promozione della pace e della stabilità nella regione.
Tuttavia, il reale impatto di queste richieste sul comportamento e sulle pratiche di Socar rimane incerto. Le dichiarazioni di intenti devono trasformarsi in misure operative concrete, e molto dipenderà dalla volontà politico-economica di affrontare questioni di grande complessità. Expert europei suggeriscono che l’utilizzo di sanzioni mirate potrebbe essere una strategia efficace per incentivare il governo azero a rispettare i diritti umani e avviare un dialogo costruttivo.
Inoltre, i rapporti diplomati con l’Azerbaijan restano delicati, complicati da fattori geopolitici e interessi economici. Le opportunità di collaborazione e aiuti allo sviluppo offerti dai paesi europei potrebbero risultare minacciati se non si attua una pressione sufficiente sul regime. Allo stesso tempo, il governo elvetico è chiamato a mantenere una posizione di dialogo, cercando di giungere a un compromesso che possa facilitare un miglioramento della situazione interna all’Azerbaijan senza compromettere le proprie relazioni commerciali.