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Fare divesting: c’è rischio per chi non abbandona il carbone

  • REDAZIONE TRENDIEST
  • 20 Marzo 2018
divest
divest

DI SARA SILANO tratto da www.focusrisparmio.com

Indice dei Contenuti:
  • Fare divesting: c’è rischio per chi non abbandona il carbone
  • Cambiano i consumi energetici
  • Conto salato per le compagnie petrolifere
  • La Task-force per il clima


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Nel mondo, il divesting (ovvero il contrario di investing) dal settore ammonta a circa 6 mila miliardi di dollari. In Europa, ci sono ancora molti impianti pericolosi, ma sempre più governi sono impegnati a chiuderli nei prossimi anni. Per le compagnie energetiche impreparate alla transizione low-carbon, il prezzo da pagare sarà altissimo.

Assicurazioni Generali ha recentemente annunciato il disinvestimento dal settore del carbone per 2 miliardi di euro, con l’obiettivo di azzerarne la presenza nei propri portafogli. Finora, secondo i dati di Go Fossil Free è la prima impresa in Italia ad intraprendere un’azione simile, perché in passato lo avevano fatto solo organizzazioni no-profit. Nel mondo, si stima che il cosiddetto divesting da parte delle istituzioni di varia natura ammonti a circa 6 mila miliardi di dollari, di cui il 28% fa capo a organizzazioni religiose e il 19% a fondazioni filantropiche. Seguono i governi, le università, i fondi pensione e verso il fondo della classifica le imprese for profit (3%, fonte: Go Fossil Free, dati disponibili al 28 febbraio 2018). Il movimento è in continua espansione in vista dell’attuazione degli accordi di Parigi (noti come COP21) per arrivare a un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050.

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L’impegno dei governi e delle imprese

Le centrali a carbone sono considerate una delle principali cause dell’inquinamento e del surriscaldamento del globo. In Europa, secondo il movimento Europe beyond coal, ci sono ancora 287 impianti di questo tipo e i più pericolosi sono in Germania e Polonia. Sempre più governi, tuttavia, sono impegnati a chiuderli entro i prossimi anni. L’Italia ha indicato come obiettivo il 2025, mentre la Francia, con il presidente Emmanuel Macron vorrebbe anticipare al 2021-22. La stessa Unione europea è in prima linea nella transizione verso un’economia più sostenibile con diverse iniziative, l’ultima delle quali è l’Action plan for a greener and cleaner economy pubblicato lo scorso 8 marzo. Nel corso del 2017, hanno annunciato la transizione verso un business coal free diverse imprese, energetiche e finanziarie, tra cui l’italiana Enel, che ha dichiarato nell’assemblea annuale che entro 10-15 anni non avrà più impianti di questo tipo.

Cambiano i consumi energetici


Se nel breve, saranno ancora i combustibili fossili a coprire la gran parte della domanda mondiale di energia, a lungo andare la situazione è destinata a cambiare radicalmente. La transizione verso le rinnovabili non è un fenomeno degli ultimi anni: dal 1990 ad oggi, il consumo delle cosiddette energie pulite è cresciuto del 1.200% contro il 78% del gas e il 37% del petrolio.

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world energy consumation

Conto salato per le compagnie petrolifere


Se è troppo presto per considerare chiusa l’era del petrolio, sicuramente le nuove normative costeranno care all’industria del greggio e del gas, in termini di contrazione dei profitti e aumento dei costi del capitale. Secondo gli analisti di Sustainalytics, “Le aziende più a rischio sono quelle con i più alti costi medi di produzione, o coinvolte in progetti sui combustibili fossili. A soffrire sarebbero anche le industrie che non stanno diversificando su fonti rinnovabili”.

La Task-force per il clima


Su questi temi, gli investitori sono sempre più sensibili e chiedono trasparenza alle aziende. Un utile strumento è rappresentato dalle raccomandazioni della Task-force for climate-related financial discloscure (TCFD), i cui membri sono stati scelti dal Financial stability board tra i produttori ed utilizzatori della reportistica sui rischi climatici in diversi ambiti economici e finanziari. Le raccomandazioni, pubblicate a fine giugno 2017, sono volontarie, formulate in modo da tenere conto delle normative in materia e coprono quattro aree: governance, strategia, gestione del rischio, misurazioni e obiettivi. Una delle indicazioni chiave si focalizza sulla resilienza delle imprese di fronte a differenti scenari di rischi e opportunità derivanti dal cambiamento climatico. Le indicazioni del TCFD hanno già ricevuto il supporto di oltre 100 organizzazioni a livello mondiale e sono utili sia per gli investitori sia per le imprese in cui investono.


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