Facebook class action denuncia contro il social network accusato di spiare i messaggi degli utenti per vendere pubblicità
Aria di tempesta per il re dei social network Mark Zuckerberg: secondo quanto riporta il Financial Times, Facebook si troverà ad affrontare una class action, in quanto accusata di utilizzare la messaggeria privata dei suoi utenti al fine di venderne i contenuti per scopi pubblicitari.
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L’iniziativa, nata grazie ad una libera ricerca, in merito al social più diffuso al mondo, ha come portavoce Matthew Campbell e Michael Hurley, provenienti rispettivamente dall’Arizona e dall’Oregon.
I due si fanno promotori di un’azione legale collettiva, per difendere i diritti comuni relativi alla privacy dei milioni di fruitori del servizio, presenti sia nel territorio degli Stati Uniti che oltreoceano.
Nello specifico, Facebook viene citata in causa in quanto colpevole di intercettare i collegamenti esterni che compaiono nelle conversazioni private, una vera e propria miniera d’oro per gli inserzionisti.
L’obbiettivo dell’iniziativa è, oltre all’intento primario di far luce sulla questione, quello di ottenere un risarcimento economico per il danno subito, quantificabile in cento dollari per ogni giorno in cui è stata violata la privacy. In alternativa, sarebbe accettata di buon grado anche la cifra forfettaria di diecimila dollari per ogni singolo utente spiato.
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La smentita ufficiale, proveniente dai vertici della società capeggiata da Zuckerberg, non si è fatta di certo attendere: “Le accuse sono infondate e per questo ci difenderemo con tutte le forze”.
I sospetti e le polemiche relative al possibile utilizzo dei dati in possesso dal social network sono sempre stati all’ordine del giorno, ma nonostante ciò, dal momento della sua comparsa nel web risalente al Febbraio del 2004, Facebook non si è mai trovata nella scomoda condizione di dover affrontare una situazione analoga.
Questo episodio fa seguito a quello capitato recentemente a Google, che è stato citato in giudizio per una ragione simile, in quanto responsabile di aver raccolto informazioni private tramite il suo servizio di posta elettronica Gmail. Il caso occorso al colosso di Mountain View non costituisce un episodio isolato: già nel 2004, la società dovette difendersi dalle critiche conseguenti all’introduzione della pubblicità presente nello stesso servizio e-mail.
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Il documento ufficiale inerente all’accusa, portato all’attenzione della corte Nord-Californiana, recita apertamente quanto segue: “gli utenti che credono di comunicare attraverso un servizio privo di sorveglianza, sono portati a rivelare fatti personali che altrimenti non verrebbero espressi, se gli utenti fossero a conoscenza che i loro contenuti possano essere in qualche modo monitorati da terze persone”.
Le precedenti critiche relative alle politiche sulla privacy adottate da Facebook, avevano puntualmente portato ad una revisione delle regole previste dal contratto stipulato con gli utenti, con conseguenti modifiche e limitazioni introdotte nel corso degli anni.
Uno degli ultimi esempi potrebbe essere la protesta scaturita dalla comparsa di pubblicità consigliate, associate a nomi e immagini degli amici, senza il loro esplicito consenso.
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Per gli eventuali sviluppi relativi alla vicenda bisognerà solamente attendere il normale decorso dei fatti, di certo la quantità di informazioni personali raccolte da Facebook farebbe gola a qualsiasi pubblicitario.
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