“Ermeneutica del Ponte”: l’immagine diventa un ponte tra i diversi piani della realtà
Intervista a Luca Siniscalco di Letizia Dehò
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In occasione della pubblicazione del volume “Ermeneutica del Ponte” (Mimesis Edizioni), dedicato ad un’analisi comparata e multidisciplinare del paradigma e archetipo del Ponte, proponiamo di seguito l’intervista a Luca Siniscalco che ha curato lo scritto “L’immagine come ponte. Un’estetica del sovrasensibile”, inserito nel volume collettaneo.
Di cosa si tratta il progetto “Ermeneutica del Ponte” che ti vede coinvolto?
“È un progetto ideato e curato dal professore Silvio Bolognini, specializzato in epistemologia e filosofia del diritto presso l’università E-Campus. Un professore di grande valore accademico e un ottimo aggregatore culturale che ha deciso di spaziare rispetto al suo preciso ambito di competenza per dare vita ad un progetto multidisciplinare che avrà anche futuri sviluppi. Questo infatti è solo il primo volume della collana “Ermeneutica” nata per Mimesis Edizioni. La cornice comune degli interventi dei collaboratori è l’immagine e il simbolo del Ponte, che assume tre generali valenze interpretative: collegamento, delimitazione e “ponte che vive””.
Che significato assume l’immagine come ponte?
“L’obiettivo del mio scritto è mostrare come l’immagine, filosoficamente intesa, rappresenti un elemento di mediazione tra diversi piani del reale. È una prospettiva con un retaggio culturale molto antico, risalente anche a culture arcaiche, pre-filosofiche, ma la cui valenza si è mantenuta anche in alcuni tratti carsici in margine alla modernità. In questa prospettiva ogni immagine ha un intrinseco valore simbolico perché dice, insieme, di se stessa e di qualcos’altro. Così dovrebbe essere un’immagine autentica: un simbolo, un riferimento e un ponte verso un’altra dimensione. In quest’ottica l’immagine pubblicitaria non è, ad esempio, un’immagine-ponte: non ha in sé quella natura simbolica caratterizzata da una pluralità di significati (spesso contradditori tra loro), ma esibisce il significato univoco dell’oggetto che rappresenta, reificandolo anziché mostrandone la pluralità delle connessioni del reale”.
Cosa si intende per dimensione mitico-simbolica?
“Quando richiamo la dimensione mitico-simbolica, mi riferisco a strutture della realtà cariche di senso. Per non fraintendere: il mio obiettivo qui non è vagliare la veridicità della narrazione mitologica, ma analizzare le strutture archetipiche della realtà che si trovano della dimensione sia dei fenomeni sia dell’osservatore. Queste permettono una comprensione organica del reale: all’interno della prospettiva conoscitiva, strumenti estetici e simbolici affiancano quelli puramente percettivi. A sostegno di ciò, cito l’esempio del filosofo Ernst Jünger nel libro “Der Arbeiter”, in cui la figura del lavoratore moderno, antropologicamente diversa dalle altre che l’hanno preceduta, è rappresentata dall’immagine mitica del Titano, emblema della più profonda forza naturale. Qui l’immagine mitica non è usata solo come espediente letterario, ma anche come un modo di vedere la realtà alla luce di elementi metafisici. Così adottando un linguaggio mitico-simbolico sulla contemporaneità si può elaborare una percezione integrata delle cose. Ho scelto, nel mio testo, di presentare due dimensioni molto lontane nel tempo: l’arte sacra delle culture premoderne e l’arte e la cultura del Novecento. In questi due lontani momenti storici, di fatto, non è la realtà ad essere cambiata, ma il nostro sguardo su di essa”.
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Nella società di oggi l’immagine mantiene la sua natura pontificale?
“Una prospettiva condivisibile è presentata dal filosofo Jean Baudrillard (1929-2007). La nostra società, caratterizzata da un proliferare di immagini, è una società iconofila? La risposta paradossale del filosofo è negativa. L’esponenziale diffusione delle immagini porta allo svuotamento della loro natura simbolica. Abbiamo immagini vuote di significato perché viene meno il rimando all’universale, sostituito dal riferimento al solo oggetto che mostrano. In questo modo si perde la natura autentica e pontificale dell’immagine”.
L’arte astratta?
“L’arte deve seguire un’evoluzione legata allo spirito del tempo in cui si colloca. A mio avviso, se c’è un oggetto e una dimensione materica, come spesso accade nell’arte astratta, in grado di esercitare una comunicazione, questo può ancora assumere una dimensione auratica. Un’arte puramente concettuale, che astrae le forme e rinuncia anche al supporto materico, viene meno alla dimensione artistica. È un percorso che elaboro, peraltro, senza parametri dogmatici”.
Qual è il messaggio al lettore?
“Il mio scritto contiene una velata polemica verso quell’arte e quelle forme espressive che rinunciano ad una dimensione simbolica, legandosi per esempio al prevalere dell’aspetto concettuale. A mio giudizio l’arte necessita di un rilievo simbolico, di un linguaggio in grado di comunicare e di una struttura formale (figurativa o astratta) che conduca l’osservatore ad un’esperienza, in termini sensibili, del significato. È uno scritto dal taglio teoretico che si inserisce anche nel dibattito dell’arte contemporanea”.
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Luca Siniscalco
Laureato alla facoltà di filosofia dell’Università Statale di Milano, dopo un Erasmus in Germania ed una tesi magistrale sul tema del mito e del simbolo curata dal professore Giancarlo Lacchin, inizia la collaborazione con la cattedra di estetica della Statale. Porta avanti diversi progetti di ambito filosofico editoriale: come editor per la casa editrice Adelphi e come collaboratore della rivista Antarès (numeri monografici dedicati ad arte, filosofia, letteratura). Suoi scritti sono apparsi in numerose riviste e volumi collettanei. Collabora anche alla ESE (European School of Economics) in qualità di Lecturer dei Workshops Study Skills, Research Methodology e Creative Thinking.
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