Diritti doganali di Donald Trump scuotono profondamente l’industria orologiera svizzera nel 2024

Impatto dei dazi Trump sull’orologeria svizzera
Il settore dell’orologeria svizzera sta affrontando una crisi senza precedenti a causa dell’introduzione di dazi doganali del 39% imposti dagli Stati Uniti sulle esportazioni di orologi Swiss Made, in vigore da un mese. Questa misura colpisce in modo particolare un comparto che rappresenta circa il 7% delle esportazioni totali della Svizzera e che destina ai mercati statunitensi quasi il 17% del suo fatturato, equivalente a oltre 4,3 miliardi di franchi nel 2024. La reazione del settore è stata immediata: molte aziende hanno già anticipato un aumento dei prezzi, aggravato dal rafforzamento del franco svizzero e dal precedente dazio al 10%.
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Il risultato è un aumento rilevante dei costi di mercato negli USA, il principale sbocco commerciale dopo il rallentamento della domanda cinese iniziato nel 2022. Le autorità cantonali di Ginevra e le associazioni di categoria stanno facendo pressione sul Consiglio federale affinché si apra un tavolo negoziale per ridurre i dazi al livello applicato all’Unione Europea (15%) e al Regno Unito (10%). La disparità, che pone la Svizzera quinta nella classifica mondiale dei paesi più colpiti da queste misure protezionistiche americane, è considerata ingiusta e penalizzante.
Il settore orologiero svizzero, considerato da molti un “bersaglio ideale” di un provvedimento considerato populista, si trova così a dover gestire una domanda potenzialmente in forte calo, con rischi concreti di perdita di competitività sui mercati oltreoceano. Alcuni marchi di alta gamma come Rolex, Audemars Piguet e Patek Philippe riescono ancora a mantenere una domanda solida nonostante i dazi, ma per la maggioranza delle realtà orologiere la situazione si fa critica e le strategie per far fronte al problema sono ancora incerte e frammentate.
Strategie delle case orologiere di fronte ai dazi
Di fronte all’impatto dei dazi, le case orologiere svizzere stanno adottando strategie eterogenee, oscillando tra prudenza, confronto diretto e tentativi di elusione. Alcuni produttori preferiscono limitare gli aumenti di prezzo agli Stati Uniti, tentando di preservare la competitività in questo mercato chiave, mentre altri valutano di ripartire il maggior costo sui distributori locali o di incrementare i prezzi a livello globale per non penalizzare troppo il canale americano. Al momento, non esiste un indirizzo comune condiviso tra i diversi attori del settore.
Le maison di alta gamma come Rolex, Audemars Piguet e Patek Philippe possono contare su una domanda ancora solida e clienti in lista d’attesa, il che consente loro di mantenere una certa libertà operativa nonostante i dazi. Al contrario, molte altre realtà di medie e piccole dimensioni si trovano in difficoltà, con prospettive di vendita in diminuzione. Gruppi come LVMH, che possiede marchi quali Bvlgari, Hublot e Zenith, optano per una linea di prudenza e sono riluttanti a esporsi pubblicamente, in linea con la cautela del patron Bernard Arnault.
In controtendenza, Nick Hayek, amministratore delegato di Swatch Group, propone una strategia di contrattacco, suggerendo l’imposizione di un dazio equivalente sul metallo prezioso oro esportato verso gli Stati Uniti, considerato la “parte vulnerabile” di Donald Trump. Hayek mette anche in guardia contro il rischio che i consumatori americani si rivolgano a canali esteri o duty-free per acquistare orologi, indebolendo così i distributori locali.
Una delle vie esplorate per superare l’ostacolo dei dazi è il reindirizzo delle esportazioni attraverso l’Unione Europea, dove le tasse sono più contenute. Molti marchi appartengono a gruppi internazionali che includono case orologiere francesi e tedesche, con un potenziale per sfruttare la normativa europea meno stringente sul “Made in” rispetto al rigido standard svizzero.
Alcune realtà studiano possibili adattamenti organizzativi, come trasformare le filiali negli Stati Uniti in distributori indipendenti per importare direttamente al costo di produzione, abbassando così il prezzo finale per i clienti. Tuttavia, questi cambiamenti richiederebbero una stabilità normativa difficile da prevedere, data la natura momentanea e politicizzata dei dazi imposti dall’amministrazione Trump.
Possibili scenari futuri per la produzione e il mercato
Le prospettive future per l’industria orologiera svizzera si fanno complesse e incerte, poiché l’introduzione dei dazi doganali statunitensi induce un ripensamento profondo delle strategie produttive e commerciali. Alcuni operatori stanno valutando una possibile riconfigurazione della catena del valore, con un incremento della produzione in Europa, soprattutto in Francia e Germania, dove i requisiti per la certificazione “Made in” appaiono meno rigidi rispetto al sistema svizzero, facilitando il superamento delle barriere tariffarie.
Parallelamente, il rischio di una delocalizzazione parziale si affaccia, anche se rimane limitato dalla difficoltà di reperire una manodopera altamente qualificata al di fuori della Svizzera. Il know-how tecnico e la tradizione orologiera rappresentano un vantaggio competitivo che nessun altro paese europeo, né tantomeno gli Stati Uniti, riesce a eguagliare nel breve termine.
Un’altra ipotesi concreta è quella di rendere più autonome le filiali americane, incrementando la loro funzione distributiva e logistica, al fine di ottimizzare i costi d’importazione e attenuare l’effetto dei dazi sul prezzo finale. Tuttavia, questa soluzione appare ancora limitata nel potenziale di impatto e richiede una stabilità normativa che la situazione politica attuale non garantisce.
Gli esperti concordano sull’impossibilità di prevedere con certezza l’evoluzione della situazione, soprattutto in funzione degli sviluppi politici negli Stati Uniti. L’industria si prepara a scenari variabili, dal riequilibrio negoziale a medio termine a una permanenza prolungata delle misure protezionistiche, che impongono a tutti gli attori di definire piani di contingenza e diversificazione dei mercati.
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