Dazi Trump sull’hi-tech: iPhone a 2300 euro e rallentamento per l’AI

Dal protezionismo di Trump alle conseguenze per l’hi-tech
Le recenti politiche di protezionismo messe in atto dall’amministrazione Trump segnano un momento cruciale per l’industria high-tech globale. Con l’imposizione di dazi record che oscillano tra il 24% e il 46% su vari mercati asiatici, le aziende si trovano ad affrontare una crisi senza precedenti in un settore che ha costruito il proprio successo su catene di approvvigionamento globali. Taiwan, India, Vietnam e Cina, tutti nodi cruciali per la produzione elettronica, sono ora sotto pressione. Le aziende, che avevano cercato di diversificare la produzione in risposta al primo round di dazi nel 2018, si trovano a dover riconsiderare strategie che sembravano promettenti. Queste misure, presentate come una risposta alla “manipolazione valutaria”, possono invece avere conseguenze devastanti, rendendo difficile mantenere l’efficienza necessaria in un mercato sempre più competitivo.
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Il settori più colpiti includono i produttori di dispositivi mobili e hardware, costretti a fronteggiare costi superiori. Secondo le analisi interne, tali aumenti potrebbero erodere i margini di profitto e portare a significativi aumenti dei prezzi al consumo. I colossi dell’hi-tech, a cui si aggiungono Google, Microsoft e Dell, devono decidere tra sostenere i costi o trasferirli ai consumatori, mentre l’intera struttura economica rischia una stagnazione.
Il dilemma di Cupertino: quando un iPhone diventa un lusso
Apple si trova di fronte a una delle sue sfide più difficili. Nonostante gli sforzi per diversificare la produzione e ridurre la dipendenza dai fornitori cinesi, la società continua a fare affidamento sull’Asia, dove la maggior parte dei suoi dispositivi viene assemblata. Attualmente, il 90% degli iPhone venduti nel mondo proviene dalle fabbriche di Foxconn e Luxshare in Cina. Con i nuovi dazi commerciali, che colpiscono anche Paesi come India e Vietnam, le promesse di diversificazione si rivelano un’illusione, lasciando Cupertino in una posizione vulnerabile.
Le stime di Morgan Stanley suggeriscono che l’impatto economico per Apple potrebbe superare gli 8,5 miliardi di dollari all’anno, una perdita equivalente al 7% dei suoi profitti. Allo stesso modo, le analisi rivelano che il costo di produzione dell’iPhone 16 Pro potrebbe aumentare drasticamente, passando da 580 a circa 850 dollari. Per mantenere i margini di profitto, Apple sarà costretta a innalzare i prezzi al consumatore. Ad esempio, l’iPhone 16 Pro Max con 1TB di memoria, attualmente a 1.599 dollari, potrebbe arrivare a costare 2.300 dollari, ponendosi nella categoria dei beni di lusso.
Il tentativo di riportare la produzione negli Stati Uniti, come propone Trump, presenta notevoli difficoltà. Tim Cook ha messo in evidenza la mancanza di personale qualificato disponibile, sottolineando che in Cina ci sono abbondanti risorse umane specializzate, mentre negli USA la situazione è ben diversa. Aggiungendo al problema i costi di produzione, che in Cina si aggirano attorno ai 30 dollari per l’assemblaggio di un iPhone, contro i 300 dollari negli Stati Uniti, la strategia di Cupertino si complica ulteriormente.
L’ecosistema tecnologico sotto pressione
Le attuali politiche commerciali protezionistiche degli Stati Uniti stanno influenzando profondamente l’ecosistema tecnologico a livello globale. Colossi come Google, Microsoft, Dell, HP e Lenovo si trovano ora di fronte a un dilemma: come affrontare l’aumento imponente di costi derivanti dai nuovi dazi senza compromettere i margini di profitto? Molte aziende stanno considerando l’assorbimento di questi costi, ma il rischio è quello di danneggiare le proprie linee di guadagno. Altri, invece, potrebbero vedersi costretti a trasferire gli incrementi sui prezzi al consumatore finale, il che potrebbe frenare la domanda in un settore già in difficoltà.
I produttori di laptop e dispositivi elettronici, ad esempio, potrebbero vedere aumentare i prezzi di vendita tra il 15% e il 20%. Un computer portatile attualmente venduto a 1.000 euro potrebbe presto avere un costo che varia tra 1.150 e 1.200 euro. Anche gli smartphone Android di fascia alta subiranno aumenti simili, con previsioni che suggeriscono un superamento della soglia psicologica di 1.400 euro. La produzione di hardware, che negli ultimi anni ha visto un incremento significativo degli investimenti, sta ora affrontando sfide enormi a causa della dipendenza da supply chain globalmente ottimizzate.
In particolare, Google e Microsoft, che hanno investito ingenti capitali nella creazione di hardware autonomo come i prodotti Pixel, Surface e Nest, si trovano a dover affrontare costi aumentati non solo per l’hardware, ma anche per la manodopera necessaria all’assemblaggio. Questi cambiamenti potrebbero influenzare non solo il mercato statunitense, ma anche le dinamiche e la competitività globale delle aziende tecnologiche.
L’intelligenza artificiale rallenta la corsa
Il panorama dell’intelligenza artificiale (AI) sta vivendo un momento di grande vulnerabilità, in parte a causa delle nuove politiche commerciali protezionistiche. Le grandi aziende tecnologiche, che stanno attuando ingenti investimenti per sviluppare sistemi di intelligenza artificiale avanzati, devono ora affrontare un incremento dei costi di realizzazione delle infrastrutture necessarie. Questi data center, fondamentali per l’alimentazione di modelli AI come ChatGPT, Gemini e Claude, sono composti per gran parte da componenti prodotti in Asia, ora soggetti a dazi significativi.
Le stime parlano di un aumento dei costi di costruzione compreso tra il 3% e il 5%, una cifra che, sebbene possa apparire modesta, si traduce in oneri ingenti su investimenti che raggiungono decine di miliardi di dollari. Ad esempio, Microsoft aveva progettato di investire 80 miliardi di dollari in data center dedicati all’AI nell’attuale anno fiscale, mentre Amazon intendeva superare i 100 miliardi e Google aveva pianificato 75 miliardi per spese infrastrutturali generali. Ogni rialzo dei costi potrebbe costringere queste aziende a rivedere al ribasso le loro ambizioni di spesa.
Un’iniziativa ambiziosa come Stargate, una joint venture tra OpenAI, Oracle, Softbank e il fondo Mgx degli Emirati Arabi, con un budget previsto di 500 miliardi di dollari per migliorare l’infrastruttura di calcolo per l’AI, potrebbe subire rallentamenti significativi a causa dell’innalzamento dei prezzi dei materiali e delle componenti necessarie. Gli unici lati positivi in questo quadro complesso sono le esenzioni sui semiconduttori, fondamentali per l’industria tecnologica, permettendo a compagnie come Nvidia di evitare i dazi del 32% imposti a Taiwan. Tuttavia, l’incertezza persiste attorno alla tassa generale all’export del 10%, che potrebbe ancora danneggiare produttori chiave come TSMC.
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