Le recensioni cinematografiche con gli hashtag di twitter battono quelle della critica ufficiale?
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Siamo già abituati al commento live via Twitter di programmi televisivi ed eventi mediatici in genere. Basta un telefono cellulare e con 140 caratteri possiamo dire se la voce della cantante del talent sia bella o no, se la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi ci abbia delusi e quale candidato politico ci sembri più convincente.Ovviamente, questo fenomeno si estende anche ai film, tanto che la loro uscita in sala è sempre più spesso associata a un hashtag per le “recensioni” del pubblico.
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Proprio queste recensioni stanno diventando un caso nel mondo anglosassone.L’autorevole quotidiano britannico “The Guardian” ha infatti notato che per le campagne pubblicitarie legate ai nuovi titoli, molte case di produzione preferiscono citare i tweet dei normali cinefili, anziché le tradizionali stellette attribuite al film dai critici cinematografici.È stata subito polemica: il commento del pubblico pagante armato di telefonino smartphone vale più di quello di un professionista?
I critici, manco a dirlo, hanno subito levato gli scudi contro i “TwitCrits”, i critici di Twitter (così li ha definiti un giornalista dell’Independent, David Lister, ndr), accusati di fermarsi a giudizi troppo banali e superficiali, come “Bello, lo consiglio”, “Meraviglioso, da vedere”, “Noioso, non andate al cinema”, e di non essere capaci di una critica approfondita e colta.
Però è lo stesso Lister a sottolineare che i due giudizi non possono essere equiparabili. “I pareri delle persone famose sono sempre stati parte del business. Ma l’endorsement pubblico del ‘cittadino Joe’ ha un valore diverso. I TwitCrits, ne sono sicuro, sono qui per rimanere”. La loro forza sta nel fatto che, per il pubblico indeciso sul film da andare a vedere nel weekend è più facile immedesimarsi nel tweet conciso e immediato, piuttosto che nei paroloni e nei concetti a volte complessi dei critici.
Attenzione però, sostiene Lister, a enfatizzare il fenomeno. Non stiamo assistendo, secondo il giornalista, a un processo di “democratizzazione della critica”, perché ovviamente le case di produzione e distribuzione selezionano solo i cinguettii positivi, non certo quelli meno entusiasti.
Se “messo nella giusta prospettiva, però, potrebbe non essere affatto una cattiva idea”.
I cinefili, inoltre, potrebbero essere ulteriormente spinti a condividere le loro opinioni su Twitter anche dalla lusinga di vedere il proprio cinguettio retwittato dalla casa di distribuzione, che oltretutto provvede anche a collocarsi tra i followers dei commentatori più accaniti.
D’altronde, un paragone tra i tweet degli spettatori e le recensioni dei critici sarebbe del tutto insensato, perché completamente diversa è la loro finalità. Se il critico vuole analizzare il film in tutte le sue componenti, da quelle estetiche a quelle più tecniche, sviscerandone il contenuto e il messaggio in esso nascosto, la finalità del cinefilo cinguettante è diametralmente opposta: il suo intento è quello di esprimere prima di tutto un consiglio, basato sui propri gusti personali.
Le due realtà, quindi, possono benissimo convivere, perché appartengono a due mondi diversi: quello della brevità e dell’immediatezza da una parte, quello dell’approfondimento e della riflessione dell’altra.
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