Cucina di lusso o pacchianità?
Spendereste 1500 euro per una pizza? Questa è la domanda che in molti si pongono dopo l’apertura durante la Milano fashion week del nuovo locale di Philipp Plein. Il noto stilista tedesco ha, infatti, appena inaugurato a Milano il suo Plein Hotel, progetto da 40 milioni di euro, che sembra avere come unica parola d’ordine quella del lusso. Ma siamo certi che si tratti davvero di lusso e non di pacchiano? Così ha commentato lo chef Guido Mori, evidenziando l’eccezionalità degli ingredienti utilizzati: “Stiamo parlando della pizza con bresaola di wagyu, tartufo e nell’impasto, che si fa cinque o sei ore prima se non addirittura il giorno prima, c’è del Don Perignon.”
Il prezzo elevato viene giustificato con il costo della bottiglia di champagne, ma secondo Mori tutto ciò non ha senso. “Il Don Perignon ha quel valore perché viene consumato come champagne. Se io lo uso per capire se un orologio sia o meno resistente all’acqua o per sciacquare i calzini, non è che il lusso resta collegato all’oggetto.” Egli definisce questa pizza come “l’icona del pacchiano”, suggerendo sarcasticamente di aggiungere anche del caviale per completare il quadro del lusso ostentato. Secondo lui, una tale spesa non è simbolo di ricchezza, ma di una mancanza di buon senso. “Sono dei buzzurri quelli che ci vanno.”
Mori non si è limitato a criticare il locale di Plein, ma ha anche espresso il suo disappunto per la reputazione che queste iniziative infondono a Milano: “Se fossi in Sala mi sentirei imbarazzato a vedere cose del genere nella mia città.” Ricollegandosi al concetto di lusso, lo chef sottolinea che Milano merita molto di più rispetto a proposte che ritiene volgari e affrettate, rivolgendosi dunque anche al sindaco di Milano per una riflessione sulla direzione che la città sta prendendo nel panorama gastronomico.
Critiche a Briatore e Crazy Pizza
Guido Mori non si è risparmiato nel criticare anche Flavio Briatore e il suo Crazy Pizza, un locale che ha attirato molta attenzione nonostante le sue polemiche. Secondo lo chef, la clientela di questi posti non cerca realmente l’autenticità, ma una sorta di “illusione di lusso”. “Vogliono sembrare ricchi,” afferma, indicando come il Crazy Pizza e l’hotel di Plein non siano altro che delle proposte “caciottare”, ossia superficiali e svuotate di vero contenuto gastronomico.
Mori prosegue sostenendo che, sebbene questi locali possano essere pieni, il loro successo è il risultato di una errata percezione del lusso: “Propongono qualcosa che per una fetta di popolazione è lusso in quanto spesa.” Il chef spiega come questa spesa elevata non nasconda effettivamente qualità o senso reale della tradizione culinaria, ma piuttosto una confusione tra status e sostanza. “Quello che propongono questi due soggetti è solo l’espressione di una società che confonde un’icona di stile con un buzzurro.”
Affermando che Briatore non possiede né la competenza né la conoscenza adeguata del mercato, Mori critica aspramente le affermazioni dell’imprenditore riguardo all’espansione della pizza napoletana all’estero. “Dichiara di essere il primo a portare il prodotto pizza all’estero, ma si dimentica che altri lo hanno già fatto,” dice commentando come Briatore ignori catene consolidate che operano già nel mercato internazionale. Inoltre, il suo approccio tecnico alle pizze e la terminologia utilizzata sono anch’essi fonte di risate: “Uno che chiama il cornicione cordone, che non sa nemmeno che cosa sia il topping,” ribadisce Mori senza mezzi termini.
Queste critiche non si limitano a Briatore, ma si estendono anche a Sorbillo, il cui successo è, secondo Mori, basato più sull’hype sociale che sulla reale qualità delle sue pizze. Questo panorama gastronomico, dunque, secondo lo chef, appare per nulla rappresentativo delle vere eccellenze culinarie, ma piuttosto un riflesso di un’emulazione superficiale.”
La verità su Gino Sorbillo
Quando si parla di Gino Sorbillo, la posizione di Guido Mori è chiara e netta: “Non mi piace nessuno dei due”, riferendosi sia a Sorbillo sia a Briatore. Secondo il suo giudizio, Sorbillo rappresenta un “pizzaiolo napoletano qualsiasi” con un livello tecnico normale, ma che ha ottenuto notorietà grazie a un grande gruppo internazionale che lo ha finanziato. “Il prodotto offerto non ha nulla di fantascientifico”, afferma Mori, chiarendo che, pur essendo una pizza fatta a regola d’arte, è mediocrissima. Per lui, dunque, è più un marchio che un realizzato artigianale, una strategia di marketing piuttosto che una celebrazione della tradizione pizza napoletana.
Un punto critico, secondo Mori, è l’interesse di Sorbillo per le visualizzazioni sui social media, laddove il pizzaiolo sembra cercare costantemente di generare hype intorno al suo nome, anche con scelte discutibili come la pizza all’ananas. “Non so come gestisca i lavoratori”, aggiunge lo chef, sollevando interrogativi sulla sostenibilità e l’etica del business di Sorbillo. “Di Briatore si sa benissimo nell’ambiente”, afferma, sottintendendo che anche un’imprenditorialità discutibile può avere i suoi tratti distintivi, ma entrambi sembra non rispettino una certa cultura gastronomica.
Mori allude a una superficialità dilagante che colpisce non solo i protagonisti di questo settore, ma anche il pubblico, che sembra apprezzare più il sensazionalismo che la sostanza. In un momento in cui eccellenze culinarie come Franco Pepe e Gabriele Bonci si fanno strada verso il riconoscimento globale, il chef rimarca il rischio di far perdere di vista le vere competenze culinarie favore di personaggi che cercano più il clamore che la qualità. “Purtroppo, però, di questa gente si parla pochissimo”, conclude Mori, rimarcando la necessità di rimettere al centro del dibattito le vere eccellenze del panorama gastronomico italiano.
Eccellenze nella pizza: chi sono i veri maestri?
Quando si tratta di riconoscere i veri maestri della pizza, Guido Mori ha le idee chiare. Nel contesto delle recenti polemiche sui locali di Hyatt Plein e Crazy Pizza, si sofferma su quelle che considera le autentiche eccellenze nel panorama gastronomico. Tra queste spicca Franco Pepe, un nome che secondo Mori merita di essere celebrato per le sue capacità e il suo approccio alla pizza. “È bravissimo,” afferma con entusiasmo, sottolineando come il suo lavoro rappresenti l’arte e la passione necessarie per creare un prodotto di alta qualità che rispetti la tradizione.
Ma non c’è solo Franco Pepe. Mori inserisce anche Gabriele Bonci nell’elenco dei pizzaioli degni di nota, nonostante le controversie legate ad alcune delle sue dichiarazioni. “Al di là delle sue uscite sulle donne che trovo riprovevoli, è un pizzaiolo che sa il fatto suo,” afferma Mori, riconoscendo una competenza tecnica che pochi altri possono vantare. Questa è una dichiarazione di supporto in un settore che spesso è oscurato da nomi più blasonati ma meno validi.
In aggiunta, Mori fa menzione dei maestri Giorilli ed Ezio Marinato, i quali sono definiti i riferimenti per coloro che sono in fase di apprendimento e crescita nel mondo della pizza. Questi professionisti rispecchiano l’autenticità e l’approccio tradizionale che Mori considera fondamentali, contrapposti alle figure più commerciali che sembrano prendere piede. “Purtroppo, però, di questa gente si parla pochissimo,” lamenta lo chef, evidenziando l’importanza di dare visibilità a chi realmente lavora per mantenere alte le qualità gastronomiche.
Questa mancanza di attenzione nei confronti delle vere competenze culinarie, secondo Mori, penalizza l’intero settore del food. La società tende a premiare più il sensazionalismo e le figure che scatenano scalpore, piuttosto che quelle che apportano un valore genuino al prodotto. L’appello di Mori è chiaro: è fondamentale sostenere e promuovere le eccellenze, non solo per il riconoscimento meritato ma anche per un’autentica valorizzazione della cultura gastronomica italiana.
Appello a Beppe Sala e futuro di Milano
Guido Mori non si è limitato a esprimere critiche, ma ha anche lanciato un appello diretto al sindaco di Milano, Beppe Sala. “Se fossi in Sala mi sentirei imbarazzato a vedere cose del genere nella mia città,” afferma con decisione, evidenziando che Milano merita una rappresentazione culinaria dignitosa e autentica, lontana da proposte che lui considera rozze. Secondo lo chef, ciò che sta accadendo nel panorama gastronomico milanese è preoccupante. Le aperture di ristoranti che punterebbero più sull’apparenza e sul costo che sulla sostanza non fanno altro che svilire l’identità gastronomica della città.
Mori spiega come, a suo avviso, l’attuale tendenza possa danneggiare non solo l’immagine di Milano, ma anche la credibilità della cucina italiana nel mondo. “Milano ha sempre rappresentato un polo d’eccellenza, non solo per la moda, ma anche per la gastronomia,” continua lo chef, suggerendo che è fondamentale tornare a valorizzare le vere tradizioni culinarie, proponendo qualità e autenticità piuttosto che semplici strategie di marketing. “Abbiamo bisogno di figure che sappiano rispettare e onorare la cucina tradizionale,” insiste, esortando le autorità locali a prendere in considerazione questo aspetto nell’ambito dello sviluppo urbano e gastronomico.
In un contesto dove il glamour è spesso confuso con il lusso autentico, Mori invita a una riflessione profonda non solo sui nuovi ristoranti, ma sull’intera cultura gastronomica di Milano. La città, secondo lui, deve ripartire da chi lavora con passione e competenza, creando un ambiente dove la vera arte culinaria possa prosperare. “Siamo arrivati a un punto in cui il cibo è diventato un’attrazione turistica, ma dobbiamo ricordare che la cucina è, prima di tutto, cultura,” sottolinea con fervore, evidenziando la necessità di un cambiamento radicale nel modo in cui si percepiscono e si valutano le esperienze gastronomiche.
La richiesta di Mori è chiara: un ritorno a una Milano che promuova le proprie eccellenze culinarie e valorizzi il lavoro di chi, ogni giorno, porta avanti la tradizione con dedizione e creatività. Non è solo un appello al sindaco Sala ma un invito a tutti a ripensare il futuro della cucina milanese, affinché non sia più giudicata solo in base a un prezzo, ma per la sua sostanza, storia e valore umano.