Credito USA e azionario giapponese
Continuiamo nel progetto di pubblicare le opinioni degli esperti che compaiono sul web. Oggi l’articolo è tratto dalla rubrica di FocusRisparmio.com
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Pozzi (M&G): “Credito americano e azionario giapponese” per chiudere l’anno in bellezza
L’avvicinarsi dell’approvazione della riforma fiscale a trazione Trump negli Usa e la super vittoria del premier giapponese Abe alle elezioni politiche possono fare da traino alle due asset class in cui Manuel Pozzi, investment director di M&G, ravvede il maggior potenziale di rendimento nei mesi a venire.
“Il contesto macroeconomico è particolarmente significativo e benigno a livello globale. Molti mercati hanno corso parecchio, le valutazioni di tante fette di mercato sono arrivate a livelli decisamente fair, e la ricerca di alpha è più importante che mai”. A meno di tre mesi dalla conclusione di un anno in cui i mercati mondiali – Borse in primis – hanno festeggiato quasi ovunque nuovi record, l’investment director di M&G Investments Manuel Pozzi riassume così l’attuale contesto di investimento.
In conversazione con Focus Risparmio, l’esperto analizza le tappe di un percorso di investimento che parte dall’America, dove l’amministrazione Trump è sempre più vicina all’approvazione della riforma fiscale dopo che nella notte di venerdì 20 ottobre il Senato ha dato via libera alla legge di bilancio 2018, al cui interno è inserita una nota sulla maggioranza necessaria per il passaggio della riforma fiscale, che sarà semplice e non qualificata rendendo sufficiente l’appoggio dei soli rappresentanti del partito repubblicano – in questo caso unanimemente favorevole al presidente – per l’approvazione delle nuove misure fiscali di cui, spiega Pozzi, potrà beneficiare soprattutto il credito a stelle e strisce.
Dall’America dell’«uomo forte» Trump passiamo al Giappone del coriaceo Shinzo Abe, riconfermato nel ruolo di primo ministro con una netta vittoria per la coalizione tra il suo partito liberal-democratico (Ldp) e il partner di governo Komeito: 312 seggi su 465, ben oltre la soglia dei 233 richiesti per una maggioranza semplice, che valgono il raggiungimento dei due terzi della Camera bassa e la maggioranza assoluta e potrebbero fare di Abe il primo ministro più longevo di sempre nel paese del Sol Levante. Con effetti positivi sull’azionario giapponese, asset class ingiustamente ‘snobbata’ dagli investitori a parere di Pozzi: oggi a Tokyo il Nikkei ha chiuso a +1,1% a quota 21.696 punti, rialzo che vale la quindicesima seduta consecutiva con il segno più e la striscia positiva più lunga di sempre. Yen in flessione, con il cambio dollaro-yen a +0,19% a 113,74. In rialzo anche il cambio con ll’euro (+0,04% a 133,83 yen).
L’economia americana è in piena occupazione, intorno al 4%. A che punto siamo del ciclo economico, quanto ancora può durare l’espansione dell’economia negli Usa?
Il ciclo economico in America è all’insegna di una crescita più o meno ininterrotta ma moderata e dura da circa otto anni. Ciononostante non è ancora arrivato a una conclusione perché le condizioni economiche sono diverse dal passato, quando l’economia americana era contraddistinta da periodi di rapida crescita – spesso finanziata a leva dal sistema delle aziende e delle famiglie – cui successivamente si alternavano brusche contrazioni o fasi di marcato rallentamento. Tipicamente i cicli si bloccavano perché la banca centrale diventava molto aggressiva e interveniva in tempi rapidi. Oggi questa stretta consistente non sta avvenendo, e negli Stati Uniti non si avvertono fattori di potenziale rischio macroeconomico. In particolare non stiamo assistendo a una fase di eccesso di investimenti né dal lato delle imprese né da quello delle famiglie, che hanno anzi ridotto la leva finanziaria rispetto agli eccessi del 2007.
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La storia economica insegna che prima o poi l’inflazione salariale arriva, con conseguenze negative per gli utili aziendali. Quanto siamo lontani da questo scenario?
Quella americana è un’inflazione benigna, bassa ma che non corre il rischio di tornare in territorio negativo o vicino allo zero. L’inflazione core in America è oggi più vicina all’1,5%. Questo fa sì che la banca centrale non senta ancora l’esigenza di stringere in maniera significativa la politica monetaria, e questo permette al ciclo economico di perdurare in maniera consistente e sostenibile nel tempo.
Negli Stati Uniti il presidente Trump sta spingendo per una riforma delle politiche fiscali che prevede il raddoppio delle deduzioni standard, l’eliminazione della tassa sulla casa, il taglio delle aliquote per le aziende al 20% dal 35% e riduzione dell’aliquota per le aziende che rimpatriano gli utili depositati all’estero. L’introduzione di questa riforma può essere positiva e dare nuova vita alla ripresa statunitense?
Gli analisti stanno attendendo la riforma, in merito alla quale stimano un impatto positivo derivante dal fatto che la riduzione della pressione fiscale porterà a un aumento del reddito distribuibile agli azionisti o reinvestibile. Soprattutto questa seconda scelta potrebbe avere un impatto positivo. Tuttavia, in termini di sostenibilità della ripresa questa riforma rimane a oggi un punto di domanda: con un debito pubblico statunitense attualmente molto elevato, la sostenibilità di un taglio delle tasse è tutta da dimostrare. Per poterlo fare, l’amministrazione Trump dovrà agire anche sul fronte di una diminuzione della spesa pubblica, con evidenti impatti a livello macroeconomico e di sostenibilità sociale.
Qual è, a suo avviso, la misura con il maggior potenziale di stimolo per economia e mercati?
Entrando nel merito della riforma, oltre alle misure di riduzione del livello di tassazione delle aziende l’altro elemento che i mercati guardano con attenzione è l’agevolazione del rimpatrio di capitali, dal momento che le grandi multinazionali detengono parecchie centinaia di miliardi di dollari presso le succursali estere domiciliate in paesi a bassa tassazione. Qualora dovessimo assistere a un ingente rientro di capitali, con effetti positivi sul fabbisogno finanziario di queste aziende, potremmo assistere a una riduzione delle emissioni di obbligazioni corporate sui mercati del credito. Questo, a parità di altre condizioni, potrebbe portare a una riduzione degli spread.
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Quali possono essere gli effetti riforma fiscale sui corporate bond americani?
Il credito americano è una delle fette di mercato maggiormente interessanti, un po’ perché le valutazioni sono mediamente più appetibili di quelle europee a parità di rating, un po’ perché potrebbero beneficiare dallo stimolo tecnico di domanda e offerta innescato dalla riforma fiscale, tenendo anche conto che le aziende americane hanno emesso molto debito negli anni passati aumentando la leva finanziaria, motivo per cui gli spread di credito sono aumentati in misura più significativa di quanto accaduto in Europa. Questa è stata per noi un’occasione di acquisto importante e in parte lo è ancora, perché lo spread paga piuttosto bene per il rischio che ci si assume – dinamica questa che è ancora in atto nel settore delle telecomunicazioni dove c’è stato molto consolidamento e attività di fusioni e acquisizioni che ha portato tanta carta sul mercato dando la possibilità di comprare a prezzi più vantaggiosi.
Siamo di fronte a uno dei primi cicli di ripresa sincronizzati della storia recente, con ben 46 paesi attualmente in fase di espansione economica. Tuttavia, per quanto tutto possa apparire tranquillo, l’esperienza insegna che l’eccesso di compiacenza è già di per sé motivo di attenzione. Quali sono i fattori da tenere d’occhio nei prossimi mesi?
Da un lato le valutazioni dei mercati obbligazionari tradizionali, titoli di Stato in primis, perché non era mai capitato nella storia finanziaria moderna di avere una situazione di tassi free-risk nominali negativi. Basti pensare che l’80% circa dei titoli di stato tedeschi hanno rendimenti nominali negativi. Se poi aggiungiamo il deprezzamento dovuto all’inflazione, per quanto moderata, ci troviamo di fronte a un problema significativo per chi ha un risparmio da investire e vuole cercare quantomeno di non eroderlo.
La seconda situazione che – nonostante il contesto economico globalmente positivo – richiede una maggiore selettività riguarda le valutazioni sul credito europeo che hanno corso parecchio in seguito all’azione della Bce da un lato e alla ricerca di rendimento spasmodico da parte degli investitori dall’altro. Ad oggi, ci sono fette del mercato obbligazionario corporate europeo di buona qualità, parliamo di rating A, che hanno valutazioni poco convenienti. Non sono a livelli da bolla, ma non offrono neanche molto valore. Di converso, troviamo più interessanti alcuni segmenti del mercato del credito che sono stati manipolati meno dall’azione delle banche centrali, come ad esempio i titoli finanziari su cui c’è una maggiore dispersione dei rendimenti e più possibilità per i gestori di andare a estrarre alpha cercando titoli che ancora offrono valutazioni appetibili, se rapportate al rischio di default e di minore liquidità che caratterizza quella specifica fetta di mercato.
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Con la vittoria di domenica il primo ministro Abe esce rafforzato nelle sue politiche e superata l’incertezza sull’esito delle elezioni, l’Abenomics può ripartire con rinnovato vigore. Intanto la Borsa di Tokyo non si ferma più: 15esima seduta di fila in rialzo, è record. Quali sono le prospettive dell’azionario giapponese?
Per 20 anni, gli investitori di tutto il mondo hanno avuto un’esperienza pessima con l’azionario giapponese. Spesso, ancora oggi, si guarda a questo mercato dallo specchietto retrovisore, senza osservare con attenzione cosa sta cambiando dal punto di vista sociale ed economico nel paese. In particolare, dal punto di vista della corporate governance e della gestione societaria molte aziende hanno cambiato registro: stiamo assistendo a una semplificazione delle strutture aziendali, a una diminuzione delle partecipazioni reciproche e a una differente responsabilizzazione dei manager, che non lavorano più in ossequio solo a pochi azionisti di riferimento. Questo miglioramento della governance è stato alimentato anche da alcuni spunti normativi giunti negli ultimi anni, non ultimo lo stewardship code del 2014. Le aziende sono gestite in maniera più oculata, hanno ridotto l’esposizione finanziaria debitoria, e oggi il Return on equity (Roe), la misura della redditività del capitale che è indicativa del rendimento dell’investimento effettuato dagli azionisti, è intorno al 9%. Questo, abbinato con valutazioni interessanti e un price/earning che quest’anno veleggia intorno a una media di 15 volte gli utili, ci dice che i fondamentali dell’azionario giapponese sono in graduale miglioramento.
Intendete aumentare l’esposizione sull’asset class andando lunghi di azionario giapponese?
Lo siamo già in alcune strategie diversificate, e la fase di volatilità legata all’incognita politica non ci ha scoraggiato, anzi. Abbiamo sfruttato i movimenti di debolezza dei prezzi per rafforzare alcune posizioni su settori specifici come quello bancario, che è un settore che si muove leggermente a leva rispetto al resto dell’indice e il cui andamento è legato più di altri ai tassi e alle incertezze politiche ed economiche.
“Alla ricerca di ‘Alpha’” è la rubrica di FocusRisparmio.com dedicata a investimenti, mercati e all’attualità economico-finanziaria. Ogni lunedì, con l’aiuto degli esperti del settore, vengono messi sotto la lente i fatti recenti più significativi e gli appuntamenti che avranno effetti sul medio e lungo termine.
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