BOHEMIAN RAPSODY di Bryan Singer. Recensione di Alessandra Basile
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BOHEMIAN RAPSODY di Bryan Singer
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di Alessandra Basile
Recensione del film nr. 1 del 2018 sulla vita e la grande musica di un mostro sacro del rock mondiale. La musica internazionale vince sul grande schermo e si prepara agli Oscar, mentre in uno spettacolo teatrale milanese suonano le note di un grande della musica italiana, Fabrizio De André.
FARROKH BULSARA
Farrokh Bulsara nacque a Zanzibar il 5 settembre del 1946 e, quale disgrazia per il mondo intero, morì a Londra il 24 novembre di 45 anni dopo, per una complicanza polmonare legata all’avere contratto l’AIDS, la malattia che tormentò particolarmente gli anni 80/90 del secolo scorso. Questo straordinario cantautore, musicista e compositore britannico di origini parsi che cambiò il suo nome in Freddy Mercury e conquistò, con la sua band i ‘Queen’, milioni di fan, ha lasciato a noi tutti un patrimonio musicale straordinario. E, per chi appartiene ai passati anni 70/80 o, come me, ha vissuto la sua gioventù nei gloriosi anni 90, ha segnato ricordi, oggi nostalgici, della propria adolescenza.
Perché le loro canzoni sono sempiterne e continuano a conquistare, ma soprattutto nel XX secolo segnò il panorama musicale con altri Big per i cui nomi rimando al Live Aid. Il Live Aid fu il padre di tutti i concerti fino ad allora – correva il 13 luglio 1985 – e fu organizzato da Bod Geldof e Midge Ure per raccogliere fondi per combattere la carestia in Etiopia.
La solitudine dei numeri Uno
Il film, non solo ci fa volare con fantasia e ricordi grazie ai tanti brani riproposti, parte dei quali ho già menzionato, ma ci racconta, credo volutamente senza troppo soffermarvisi, i vari passaggi di Mercury dalla sua attività lavorativa aereoportuale e, prima ancora, dalla sua famiglia d’origine, tradizionale, religiosa e, specie nella figura del padre, particolarmente rigida, al primo contatto con il chitarrista Brian May e il batterista Roger Meddows-Taylor, alla sua entrata nella loro band, fino a divenirne il leader.
Una categoria delicata da proteggere: gli Artisti – Gli artisti, come ho già più volte scritto ..forse perché ne faccio parte anch’io per fortuna (o purtroppo?), appartengono a una tipologia di persone e professionisti caratterizzata da grande generosità, perché le loro performance, di qualsiasi tipo, sono sempre per gli altri, per un pubblico, e talvolta da una stravaganza tragica quando si tocca il fondo o, invece, divertentissima se la tragedia è trasformata e resa in forma di ironia: quest’ultima, del resto, ha quasi sempre origine nella prima. Musica, teatro, cinema, scrittura, canto, scultura, pittura,.., davvero salvano il mondo, fanno sognare, fanno riflettere, aiutano, distraggono, e così via. Andrebbe pagata l’Arte, andrebbero sostenuti gli Artisti, ma chi ha coraggio, chi rischia, chi fa quello che altri temono, chi si mette in gioco per una causa, spesso non è sostenuto. Si preferisce ciò che è convenzionalmente accettato, ciò che fanno tutti, ciò che fa guadagnare senza troppo impegno. Un imprenditore è paragonabile all’artista, entrambi rischiano molto, persino la faccia, entrambi se hanno successo sono circondati da persone e soldi ma se falliscono perdono tutto. Freddy Mercury e i Queen ci hanno lasciato un regalo che continua a piacere, coinvolgere, unire.
Vederlo? – Assolutamente sì! Per quanto detto. E perché parla oltre che di Freddie, di Farrokh.
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La grande musica calca anche il palco teatrale
Il regista dello spettacolo, Francesco Leschiera, crea un parallelismo con l’impiegato di oggi, visto come l’“uomo comune” che fatica a sentirsi in relazione con la società che lo circonda. Lo spettacolo prevede una parte di prosa e la riproposizione musicale dell’album. Sosteniamo gli Artisti e chi permette loro di esibirsi: tutti abbiamo qualcosa da dire e spesso lo facciamo attraverso autori, attori, cantanti, pittori, scultori, ballerini,.. Se siete a Milano il 12-13 gennaio c.a., andate a teatro in via Watt 32.
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