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Biometria: risorsa e sfida. Come costruire un equilibrio tra privacy, sicurezza e fiducia. L’innovazione di BioSIC

  • Paolo Brambilla
  • 1 Settembre 2025

Non usarla, perché non la si conosce bene, non ha senso. La domanda vera è come usare la biometria, in modo trasparente, sicuro e proporzionato, per proteggere l’identità digitale e ridurre i rischi di abuso, senza scivolare nella sorveglianza di massa.

Nel nuovo ecosistema digitale, l’identità è un’infrastruttura: se cade, cade tutto il resto. La biometria (impronte, volto, voce, iride) si sta affermando come strato di sicurezza capace di ridurre frodi e furti di identità. Ma è anche il terreno dove si misurano i nostri diritti: dal controllo sui dati del nostro essere, alla libertà di movimento nello spazio pubblico. Fermarsi al dilemma “biometria sì/no” è fuorviante: la questione è come adottarla, con garanzie tecniche e giuridiche all’altezza del 2025.

Europa: regole di rischio e limiti chiari (con qualche eccezione)

L’AI Act europeo ha introdotto un quadro per usi “vietati”, “ad alto rischio” e “a basso rischio”. Tra i divieti: le banche dati di riconoscimento facciale create con scraping indiscriminato dal web o da CCTV, e la categorizzazione biometrica per dedurre caratteristiche sensibili (es. orientamenti politici, credo religioso). La remote biometric identification “in tempo reale” in spazi pubblici da parte delle forze dell’ordine è ammessa solo con autorizzazione preventiva e in casi eccezionali (es. minacce terroristiche, ricerca di vittime), entro limiti stretti e valutazioni d’impatto sui diritti fondamentali. È un compromesso che punta alla proporzionalità, non alla messa al bando generalizzata.

Accanto all’AI Act, i garanti europei hanno chiarito i paletti sul piano privacy. Nel 2024 l’EDPB (Comitato europeo per la protezione dei dati) ha espresso un parere specifico sull’uso del riconoscimento facciale in aeroporto: bene snellire i flussi, ma con controllo massimo per l’interessato (informazione chiara, alternative non biometriche, minimizzazione, sicurezza del dato). Le Linee guida per l’area law enforcement ribadiscono i principi di necessità e proporzionalità. Non si esclude la tecnologia: la si governa.

Sul fronte identità, l’Europa sta attuando eIDAS 2.0 e l’EU Digital Identity Wallet (EUDI Wallet): portafogli digitali certificati, con regole tecniche e procedure di valutazione di conformità. Qui la biometria può servire per autenticazione forte dell’utente sul proprio dispositivo, riducendo la circolazione di dati grezzi e favorendo modelli privacy-preserving (template, on-device matching). Sono già usciti gli atti di esecuzione che definiscono registrazione e certificazione di wallet e soggetti che li usano.

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Infine, tema frontiere: dal 12 ottobre 2025 l’Entry/Exit System (EES) registrerà digitalmente ingressi e uscite dei viaggiatori extra-UE, con foto e impronte al primo ingresso. Anche qui la parola chiave è bilanciare: più efficienza e contrasto agli overstayer (persone che rimangono in un Paese oltre la durata legale del visto) ma anche trasparenza su tempi di conservazione, diritti degli interessati e sicurezza dell’infrastruttura.

Svizzera: identità digitale di Stato e dato biometrico “sensibile”

La Svizzera ha aggiornato la propria cornice con la nuova Legge federale sulla protezione dei dati (nFADP): dati biometrici e genetici sono sensibili e richiedono tutele elevate (privacy by design/default, basi giuridiche solide, DPIA Data Protection Impact Assessment quando necessario). Nel 2024–2025 l’Incaricato federale della protezione dei dati (FDPIC) ha ricordato che la stessa legge si applica anche ai trattamenti supportati da AI; nelle verifiche più recenti ha imposto, per esempio, il consenso esplicito per i voiceprint usati come fattore di autenticazione.

Sul fronte identità, Berna ha varato l’e-ID di Stato: un sistema pubblico in cui la Confederazione gestisce l’infrastruttura di fiducia e rilascia credenziali elettroniche. Il percorso legislativo è in fase avanzata; il sito ufficiale spiega che l’e-ID consentirà di provare l’identità online e collegare altri attestati (patente, certificati), con forte attenzione a sicurezza e usabilità. Anche qui, l’uso di elementi biometrici può avvenire sul device per verificare che “chi usa il wallet” sia davvero il titolare, ma occorre ancora operare un confronto in termini di efficienza con banche dati centralizzate, meno attaccabili.

BioSIC, il riconoscimento biometrico di Blindata PLC/LTD, brevetto svizzero in arrivo in tutta Europa

Il mondo digitale ha trasformato radicalmente la nostra vita quotidiana, dal modo in cui comunichiamo alla gestione delle nostre finanze. In quest’era di trasformazione digitale, sicurezza e autenticazione sono di fondamentale importanza per salvaguardare la nostra identità e le nostre transazioni. È qui che entra in gioco Blindata PLC/LTD, un’azienda all’avanguardia nel campo del riconoscimento biometrico proprio del titolare effettivo e non solo del dispositivo che sta utilizzando.

Il riconoscimento biometrico di Blindata PLC/LTD, noto come brevetto svizzero BioSIC, sta rivoluzionando l’identificazione e l’autenticazione degli utenti in conformità con le rigorose normative svizzere stabilite dalla FINMA. Questa tecnologia innovativa, che può essere facilmente introdotta in tutta Europa, non solo consente un’identificazione affidabile e sicura per un KYC Know Your Customer completo del BO Beneficial Owner perfezionando il processo con cui le aziende e i professionisti verificano l’identità dei propri clienti per prevenire attività illecite, ma crea anche un’esperienza utente fluida, comoda e altamente affidabile nella SCA Strong Customer Authentication.

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Il brevetto svizzero BioSIC e lo Swiss Mobile Banking Desk sono il più solido metodo di identificazione e autenticazione biometrica del titolare effettivo: procedura richiesta per tutte le transazioni elettroniche secondo la più recente legge svizzera FINMA Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari. Riferimento: brevetto svizzero CH 707 488 B.

Regno Unito: guida del Garante e dibattito su “live facial recognition”

Nel Regno Unito, l’ICO ha pubblicato una guida dettagliata su biometric recognition e adempimenti di UK GDPR: basi giuridiche, accuratezza, DPIA obbligatorie, principi di data protection by design e minimizzazione. In parallelo cresce il dibattito sull’uso del Live Facial Recognition (LFR) da parte della polizia e nel retail: autorevoli centri di ricerca chiedono regole più stringenti, un regolatore dedicato e test di necessità/proporzionalità più rigorosi per evitare il passaggio di fatto a una sorveglianza pervasiva.

Stati Uniti: standard tecnici, auditing pubblico e controlli parlamentari

Negli USA, il confronto è pragmatico e molto tecnico. Il NIST valuta da anni le prestazioni dei sistemi di riconoscimento facciale (oggi nell’ambito FRTE/FATE): i report mostrano progressi significativi in accuratezza, ma ricordano che i risultati di laboratorio non equivalgono automaticamente a prestazioni nel mondo reale, dove condizioni, demografie e qualità delle immagini incidono. È il motivo per cui agenzie e aziende devono testare in contesto, misurare bias residui e documentare mitigazioni.

Sui trasporti aerei, un report del PCLOB (l’authority indipendente che vigila su privacy e libertà civili) ha passato in rassegna l’uso di FRT da parte della TSA ai checkpoint; nel 2025 è arrivata anche una proposta di legge bipartisan (“Traveler Privacy Protection Act”) per rendere più chiari opt-in, alternative umane e cancellazione immediata dei dati. È la fotografia di un approccio che non rifiuta la tecnologia, ma ne vincola l’uso a trasparenza e scelte reali per i cittadini.

Il DHS ha pubblicato analisi sull’accuratezza dei sistemi biometrici impiegati negli aeroporti USA, sottolineando risultati molto elevati in verifica d’identità, ma anche la necessità di safeguard robusti, audit continui e valutazioni sul rischio di errori e discriminazioni. Parallelamente, il GAO (la Corte dei conti federale) ha ribadito che servono più prove in condizioni operative per cogliere davvero limiti e bias. Anche qui, la parola d’ordine è responsabilità misurabile.

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“Vietare tutto” aiuta chi opera nell’illegalità

Nei contesti di polizia giudiziaria e cooperazione internazionale, la biometria ha già un impatto concreto: INTERPOL documenta migliaia di identificazioni di terroristi, fuggitivi e persone scomparse grazie al suo sistema IFRS; Europol evidenzia come la biometria — se ben protetta contro attacchi di presentazione e frodi — sia cruciale contro traffici, abusi e furti d’identità. È questo il punto: limitare o vietare a priori, senza costruire alternative solide (procedure, standard, audit, formati privacy-preserving), rischia di lasciare vantaggio a chi infrange la legge. La scelta responsabile è governare la biometria, non ignorarla.

Come farlo “bene”: trasparenza, proporzionalità, tecniche di tutela

Le buone pratiche emergono con coerenza in UE, Svizzera, UK e USA:
– Trasparenza e scelta: informare in modo comprensibile, offrire alternative non biometriche dove possibile (es. travel), e raccogliere consenso esplicito quando richiesto dalla legge (specie per dati sensibili). 
– Necessità e proporzionalità: usare la biometria solo quando serve davvero e quando non esistono mezzi meno invasivi altrettanto efficaci; documentarlo in DPIA e, se serve, in fondamental rights impact assessment (AI Act). 
– Minimizzazione e sicurezza: preferire matching on-device e template protetti invece di immagini grezze; curare liveness/PAD e auditing; definire tempi di conservazione stretti e cancellazione rapida.
– Test in esercizio e accountability: non basta il benchmark: bisogna misurare errori e bias nel contesto reale, pubblicare metriche e aprirsi a verifiche indipendenti.

Identità come bene comune, biometria come infrastruttura governata

La biometria è insieme risorsa e sfida. Può alzare lo standard di sicurezza dell’identificazione — dall’accesso ai servizi pubblici all’attraversamento delle frontiere — e, allo stesso tempo, può minare fiducia e diritti se mal progettata. L’Europa con l’AI Act e i wallet di identità, la Svizzera con l’e-ID e la nFADP, il Regno Unito con la guida ICO, e gli USA con NIST/PCLOB/GAO stanno scrivendo, con accenti diversi, la stessa storia: non “biometria sì/no”, ma biometria governata. Perché nel 2025 l’identità digitale è un bene pubblico e va presidiata con la stessa cura che riserviamo ai dati che la compongono — senza cedere né alla paura, né all’ingenuità tecnologica.

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Paolo Brambilla

Paolo Brambilla, bocconiano, ha seguito il mondo economico-finanziario per molti anni. Consigliere dell'Ordine dei Giornalisti di Lombardia, scrive di finanza, cultura e innovazione digitale su varie testate. E' direttore responsabile de La Mia Finanza green www.lamiafinanza.com e dirige l’Agenzia di stampa Trendiest Media www.trendiest.it E' editor in chief di www.assodigitale.it Rotariano, è stato Assistente del Governatore del Distretto 2041.

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