Assegno di Invalidità: Come Riattivare il Beneficio Dopo la Cancellazione della Riforma Dini

Assegno di invalidità: la sentenza della Corte Costituzionale
La recente sentenza della Corte Costituzionale rappresenta una svolta significativa nel panorama delle prestazioni previdenziali legate all’assegno ordinario di invalidità. Con il pronunciamento numero 94 del 2025, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto di integrazione al trattamento minimo per i lavoratori che hanno contributi esclusivamente maturati dopo il 1° gennaio 1996, ossia per coloro che rientrano nel sistema contributivo puro introdotto dalla riforma Dini. Questa decisione supera un vincolo normativo vigente da oltre vent’anni, che aveva escluso migliaia di invalidi dal diritto a un’integrazione necessaria per garantire un adeguato supporto economico. La Corte ha in particolare sottolineato come tale esclusione violasse i principi di equità e di solidarietà sociale, poiché costituiva una disparità di trattamento ingiustificata tra lavoratori con capacità lavorativa ridotta, penalizzando indebitamente chi ha iniziato a versare contributi nel regime contributivo. La pronuncia riconosce inoltre che l’integrazione al minimo è finanziata dallo Stato tramite la fiscalità generale, senza pesare direttamente sulle casse dell’INPS, rafforzando il carattere inclusivo della misura come strumento di tutela sociale.
Indice dei Contenuti:
Integrazione al trattamento minimo: chi ne beneficia
L’integrazione al trattamento minimo dell’assegno ordinario di invalidità si estende ora a tutti i lavoratori titolari di questa prestazione, indipendentemente dal momento in cui sono stati versati i contributi previdenziali. Prima della sentenza, il beneficio era riservato esclusivamente a chi aveva contributi nei sistemi retributivo o misto, ossia versati prima del 1996. La Corte Costituzionale ha eliminato questa discriminazione, riconoscendo il diritto all’integrazione anche ai cosiddetti “contributivi puri”, coloro che hanno iniziato a contribuire solo a partire dal 1° gennaio 1996. Il beneficio consiste nel supplemento necessario a raggiungere l’importo minimo mensile stabilito per legge, pari attualmente a 603,40 euro. Questa misura è fondamentale per assicurare un livello di reddito dignitoso ai lavoratori invalidi la cui capacità lavorativa risulta fortemente compromessa.
La decisione ha un forte impianto sociale, in quanto riconosce che il trattamento minimo non deve dipendere dal tipo di calcolo contributivo, ma dalla necessità di tutela sociale a favore delle persone con ridotte capacità lavorative. Inoltre, poiché l’integrazione è finanziata con risorse pubbliche attraverso la fiscalità generale, il suo estendersi non comporta un aggravio diretto sull’INPS, rendendo la misura sostenibile e coerente con i principi di solidarietà alla base del welfare italiano.
Impatto e decorrenza della decisione sulla finanza pubblica
L’impatto della sentenza sulla finanza pubblica è particolarmente rilevante e, per evitare un immediato e consistente aumento della spesa pubblica, la Corte Costituzionale ha disposto che gli effetti della decisione decorrono esclusivamente dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale. Questa scelta evita che l’INPS debba sostenere un esborso improvviso e ingente derivante dall’erogazione di arretrati su periodi pregressi, che avrebbe potuto compromettere l’equilibrio finanziario dello Stato.
La decisione, infatti, riconosce l’importanza di contemperare i valori costituzionali di equità e solidarietà sociale con la necessità di tutela della stabilità economica della finanza pubblica. Il mancato riconoscimento retroattivo, quindi, rappresenta un bilanciamento prudente tra diritto dei lavoratori invalidi e sostenibilità finanziaria dello Stato.
In pratica, l’INPS dovrà garantire l’integrazione al trattamento minimo esclusivamente per le prestazioni erogate successivamente alla pubblicazione della sentenza, limitando così l’impatto economico immediato. Tuttavia, questa modifica rappresenta un significativo passo avanti nell’allargamento della tutela previdenziale, estendendo un beneficio importante a una platea di lavoratori finora esclusi, senza compromettere la solidità del sistema previdenziale e delle finanze pubbliche.
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