Andrea Pinna mancato all’appello, fan chiedono chiarezza su debito di 20 mila euro

le accuse delle fan e la scomparsa di andrea pinna
Antonio Andrea Pinna, pioniere tra gli influencer italiani nella monetizzazione della propria creatività, è al centro di un contenzioso con un gruppo di sue follower che lo accusano di non aver consegnato prodotti per un valore di circa 25 mila euro. La vicenda si è intensificata nelle ultime settimane, allorché Pinna è diventato irreperibile, lasciando numerose acquirenti senza risposte né rimborsi. La disputa nasce dalla vendita di borse di lusso – tra cui marchi come Chanel e Gucci – proposte come “difettate” e dunque vendute a prezzi scontati tramite gruppi WhatsApp e Telegram denominati Oche Spennate. Le clienti, però, lamentano di aver ricevuto merce di bassa qualità o, in molti casi, nulla.
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Secondo le ricostruzioni, il gruppo coinvolto comprende circa 45 persone, donne tra i 30 e i 60 anni, che hanno versato complessivamente 24.860 euro senza ottenere quanto promesso. Le acquirenti denunciano prodotti riconducibili più a cianfrusaglie da discount che a accessori di alta moda con piccoli difetti. Diverse sono state le richieste di annullamento ordini e rimborso, invano. Le promesse di spedizione “soddisfatti o rimborsati” entro 50-90 giorni sono state sistematicamente disattese, alimentando tensioni e sospetti sulla gestione delle transazioni.
Prima di sparire dai contatti, Pinna ha inviato una nota audio in cui si dichiara economicamente nullatenente e propone alle clienti di attendere un suo ipotetico ritorno alle attività per rimborsarle, altrimenti suggerisce di ricorrere agli avvocati, sottolineando la lunga durata delle cause legali e la mancanza di garanzie di recupero. Tale messaggio ha ulteriormente alimentato il malcontento, accentuando la sensazione di una situazione irrisolvibile senza interventi legali.
i metodi di pagamento e le giustificazioni fornite
Le modalità di pagamento imposte da Antonio Andrea Pinna hanno alimentato ulteriori sospetti e difficoltà per le sue clienti. Pinna richiedeva che i versamenti non venissero effettuati a suo nome, indirizzandoli invece a un gruppo di presunti collaboratori privi di profili social riconoscibili. Questo meccanismo rendeva complicato risalire a un responsabile diretto delle transazioni. Fra questi interlocutori spicca un certo Eugenio Piras, il cui nome è coincidente con quello di un personaggio presente in un romanzo di Pinna, dettaglio che ha destato ulteriore perplessità senza però chiarire la natura del rapporto.
In aggiunta, Pinna ha insistito che le transazioni avvenissero tramite PayPal utilizzando l’opzione “amici/parenti”, non quella commerciale “beni/servizi”. Tale scelta consentiva di evitare l’applicazione dell’IVA del 21% ma annullava di fatto la possibilità di ottenere rimborsi, poiché PayPal non offre protezione nelle transazioni fra amici. Questa modalità è stata esplicitamente suggerita da Pinna in nome di un presunto risparmio comune, ma si è rivelata un espediente che ha lasciato le clienti senza tutele finanziarie.
Quando le acquirenti hanno segnalato ritardi nella consegna o la mancata ricezione della merce, Pinna ha più volte addotto ragioni legate alla sua salute mentale, citando problemi personali come causa dei disservizi. Queste giustificazioni hanno prodotto un effetto di ulteriore confusione e frustrazione nelle acquirenti, esposte così a continue promesse senza riscontri concreti.
il coinvolgimento del rivenditore cinese e le prospettive future
Il coinvolgimento di un rivenditore cinese ha introdotto un ulteriore elemento complesso nella vicenda che vede protagonista Antonio Andrea Pinna. Le clienti coinvolte, esasperate dall’assenza di risposte e rimborsi, sono riuscite a mettersi in contatto con questo fornitore estero, da cui Pinna si sarebbe approvvigionato per la merce venduta. Tuttavia, anche il rivenditore cinese ha preso le distanze dalla controversia, definendo l’influencer autore di un «grave inganno» e dichiarando di non voler più avere alcun rapporto con la questione. Questa presa di posizione ufficiale, documentata da una corrispondenza accessibile, mina ulteriormente la credibilità di Pinna e lascia poche speranze di una soluzione bonaria.
Le prospettive future appaiono complicate e segnate da incertezze legali e finanziarie. Le acquirenti, che hanno già perso ingenti somme, si trovano ora di fronte a un sistema opaco fatto di intermediari senza volti noti e transazioni non tracciabili. L’ipotesi di avviare cause giudiziarie si scontra con la cautela suggerita da Pinna stesso, che ha sottolineato quanto possa essere estenuante e poco proficua una disputa legale, evocando anche precedenti familiari durati anni senza risultati concreti. Rimane quindi aperta la domanda su come queste donne potranno effettivamente recuperare le somme investite, mentre l’assenza di una responsabilità chiara e una rete di collaboratori nascosti rendono ogni tentativo di rivalsa più complesso.
In definitiva, il nodo centrale resta la mancanza di trasparenza nelle operazioni commerciali di Pinna e la difficoltà nel recupero crediti per le clienti truffate. Senza un intervento deciso delle autorità competenti o una volontà concreta di risanamento da parte dell’influencer, la vicenda rischia di arenarsi in un limbo di denunce senza risoluzione, lasciando le acquirenti in balia di un processo doloroso e incerto.
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