AI WEEK: Donne e Intelligenza Artificiale la sfida dell’inclusione tra paure, formazione e leadership

Un gender gap che rallenta il progresso dell’AI
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“Solo il 29% della forza lavoro AI-addicted è rappresentato da donne.” È un dato che fa riflettere, riportato da una recente indagine rilanciata da Forbes USA e discussa in vista della prossima AI WEEK, l’evento europeo sull’intelligenza artificiale che si terrà dal 12 al 16 maggio a Rho Fiera Milano. Una manifestazione attesa da 15mila partecipanti, con 250 espositori e oltre 450 speaker internazionali. Eppure, in un contesto così dinamico, la partecipazione femminile all’ecosistema dell’AI resta marginale.
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A rendere la questione ancora più allarmante è un secondo dato: solo il 35% delle donne riceve l’autorizzazione dai propri datori di lavoro per utilizzare strumenti basati sull’intelligenza artificiale, e appena una su tre si dichiara realmente sicura delle competenze acquisite nei corsi formativi seguiti.
A confermare questa asimmetria interviene anche uno studio della Harvard Business School, secondo cui le donne adottano strumenti di AI con una frequenza del 25% inferiore rispetto agli uomini. Le cause? Paura, prima di tutto. La paura di non essere all’altezza, di violare principi etici, di fare errori dettati da una formazione lacunosa o inadeguata.
“Una ragazza saggia conosce i suoi limiti, ma una intelligente sa che non ne ha”, diceva Marilyn Monroe. Un’affermazione che oggi suona come un invito all’azione in un mondo tecnologico che non può più permettersi di essere monocorde e maschile.
Coraggio, formazione e ruolo delle imprese: le soluzioni delle esperte
Contro la reticenza, servono strumenti. Formazione prima di tutto, interna ed esterna all’azienda, ma anche coraggio, quello necessario a lasciare il “porto sicuro” e navigare verso la piena inclusione nella cosiddetta AI Age.
Marinela Profi, Global Market Strategy Lead for AI and Generative AI di SAS, è tra le voci più forti in questo senso. “Le donne sono ancora significativamente sottorappresentate nei settori dell’IA e della tecnologia, in particolare nei ruoli di leadership. Il problema? Quando si presentano delle opportunità, gli uomini spesso si tuffano senza esitazione. Le donne, invece, valutano, riflettono, e a volte si autoescludono.”
Il suo invito è diretto e motivazionale: “Buttatevi e imparate il più velocemente possibile, perché la tecnologia cambia e si evolve a un ritmo incredibile. Che siate data scientist, imprenditrici, marketer o dirigenti, gli strumenti dell’IA sono qui per amplificare il vostro impatto, non per sostituirvi. L’AI è un acceleratore di carriera, non un pericolo da evitare.”
Profi individua due ostacoli principali: la fiducia e la formazione. “Se il problema è la fiducia, la soluzione è l’azione”, sottolinea. E chiama in causa anche le aziende, che dovrebbero investire concretamente nello sviluppo delle competenze femminili nel campo dell’intelligenza artificiale. “Non è solo la cosa giusta da fare: è una mossa intelligente per il successo aziendale a lungo termine.”
Verso un’AI più equa: leadership femminile e diversità nei dati
A dare ulteriore forza a questo appello è Virginia Padovese, Vice President Partnership per l’Europa di NewsGuard. Il suo punto di vista va dritto al cuore del problema: “L’IA non può essere maschio e non può essere femmina: è una macchina che, per essere uno strumento democratico, deve essere costruita da tutti e al servizio di tutti.”
Padovese richiama la necessità di inclusione e diversità in ogni fase del ciclo di vita dell’AI: dalla scrittura dei codici, allo sviluppo strategico, fino alla formazione e all’adozione da parte degli utenti. “Solo il coinvolgimento delle donne nello sviluppo e nell’applicazione dell’IA può garantire tecnologie inclusive e rappresentative dell’intera società.”
Una visione condivisa anche dall’International Institute for Management Development, che pone l’accento sul valore etico e umano che le donne possono portare nel settore AI. Empatia, senso del dovere e rigore etico, doti spesso distintive delle professioniste, rappresentano asset fondamentali per un’innovazione davvero sostenibile.
E i segnali positivi non mancano: secondo le previsioni, entro il 2030 il numero di donne in ruoli di leadership nel settore dell’AI potrebbe aumentare del 50%, e entro il 2040 arrivare a rappresentare il 40% dei ruoli decisionali nelle tech company globali, rispetto all’attuale 16%.
La chiave per realizzare questo scenario risiede, ancora una volta, nella diversità. “Per ridurre i pregiudizi nascosti nei dati e negli algoritmi, dobbiamo sviluppare team più eterogenei e inclusivi”, avverte Padovese. “I benefici dell’IA non devono essere riservati a pochi, ma diventare sempre più ampiamente condivisibili e utilizzabili. Per questo, servono uomini e donne, punti di vista diversi e attenzione a bisogni diversi.”
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