Aborto sicuro, la testimonianza di Annalisa tra ospedali e difficoltà
Aborto sicuro: la testimonianza di Annalisa
«Mi rendo conto di essere incinta, una gravidanza che non avevo cercato». Con queste parole, Annalisa inizia a raccontare la sua esperienza, è diventata mamma per la prima volta alcuni anni fa di una bambina. La consapevolezza della nuova gravidanza è stata difficile da affrontare. «Anche per questo a livello emotivo non me la sono sentita. E neanche fisicamente, perché ho un’invalidità alla colonna vertebrale, sono stata sottoposta a svariati interventi chirurgici e questo avrebbe inciso sulla gravidanza». La sua storia, come quella di molte altre donne, mette in luce la complessità emotiva e fisica che circonda la decisione di interrompere una gravidanza.
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In Italia, nonostante la legge 194 garantisca il diritto all’aborto, la realtà è ben diversa. Annalisa ha deciso di condividere il suo racconto attraverso una campagna di Medici del Mondo, in occasione della Giornata internazionale per l’aborto sicuro, per far luce sulla violenza psicologica che molte donne sperimentano nei servizi sanitari. «Ho fatto un test in farmacia e poi, in preda all’ansia, sono andata in ospedale a chiedere informazioni. Mi hanno comunicato l’iter da sostenere: andare al consultorio e farsi fare il certificato. Così ho contattato il consultorio di Madonna Alta a Perugia, ed è stata un’esperienza traumatizzante».
La sua testimonianza evidenzia come, nonostante le normative, le donne affrontino ostilità e mancanza di empatia da parte del personale medico. «In consultorio c’era molta ostilità da parte della dottoressa. Mi ha fatto l’ecografia, ma non mi ha spiegato nulla. Le ho chiesto come funzionava il dopo, la contraccezione e la sua risposta è stata inaccettabile». Questa situazione rappresenta una dura realtà per le 63.000 donne che ogni anno in Italia decidono di interrompere una gravidanza, a testimonianza di un contesto che non sempre accoglie, comprende e supporta le scelte delle donne.
Il percorso per ottenere l’aborto in Italia
Quando Annalisa si è rivolta per la prima volta a un consultorio, le sono state indicate le procedure da seguire per ottenere l’aborto. «Mi hanno fatto notare che dovevo ottenere un certificato, il che significava contattare il consultorio di Madonna Alta a Perugia. È stata un’esperienza traumatizzante», racconta. Anche se la legge 194 stabilisce i diritti delle donne in merito all’aborto, la realtà pratica è spesso ben diversa. Il numero elevato di obiettori di coscienza rende difficile il percorso per chi desidera interrompere una gravidanza. Ogni anno, si stima che il 7 su 10 dei ginecologi facciano parte di questa categoria, con punte estreme nelle regioni meridionali d’Italia. «In consultorio c’era molta ostilità da parte della dottoressa, che mi ha trattata con superficialità. La situazione generale è resa ancora più complicata dalla presenza di numerosi obiettori, che impediscono l’accesso a cure appropriate», continua Annalisa.
La mancanza di informazioni e il supporto insufficiente da parte degli operatori sanitari sono costanti in questo percorso. La dottoressa, invece di fornire spiegazioni dettagliate sui possibili passi successivi e sulla contraccezione, ha deriso Annalisa con domande inopportune. Le frasi oltraggiose come “Dovevi pensarci prima!” o “Siamo donne, dobbiamo soffrire” non fanno altro che amplificare il dolore emotivo di chi si trova ad affrontare una decisione così intima e difficile. Annalisa ha dovuto cambiare ospedale e consultare diversi medici. «All’ospedale di Perugia mi hanno posticipato in continuazione i tempi e mi hanno proposto unicamente l’aborto chirurgico, nonostante tu possa scegliere l’aborto farmacologico con la pillola Ru486». Quest’ultima è disponibile dal 2009 in Italia, ma molte donne non sono adeguatamente informate sulle loro opzioni, come ha vissuto in prima persona Annalisa.
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Solo dopo aver consultato altri professionisti, Annalisa ha scoperto che poteva ancora accedere all’aborto farmacologico. «Ho trovato un altro ospedale, a Pantalla, e lì ho finalmente potuto ottenere quello di cui avevo bisogno, ma il percorso è stato estremamente stressante dal punto di vista fisico ed emotivo».
Le sfide degli obiettori di coscienza
In Italia, il panorama dell’aborto si complica ulteriormente a causa dell’elevato numero di obiettori di coscienza. Attualmente, si stima che circa il 70% dei ginecologi sia obiettore, e in alcune regioni del sud, come Sicilia e Abruzzo, questa percentuale raggiunge picchi del 85% e 84%. Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, le donne che desiderano interrompere una gravidanza sono costrette a spostarsi in altre strutture sanitarie, spesso con un notevole dispendio di tempo ed energie. Questa situazione non solo aggrava il già complesso percorso che devono affrontare, ma può anche amplificare l’ansia e il senso di isolamento che molte di loro provano.
La legge 194, che garantisce il diritto all’aborto, viene quindi ostacolata nella sua applicazione dalle scelte personali dei medici. Questo si traduce in una vera e propria battaglia per molte donne, che devono non solo affrontare la decisione di interrompere una gravidanza, ma anche superare barriere burocratiche e la mancanza di disponibilità di professionisti favorevoli a fornire il servizio. Annalisa stessa ha dovuto combattere per avere accesso all’aborto farmacologico. «In base ai dati ministeriali, il 59,6% delle strutture con un reparto di ostetricia e ginecologia offre interruzione volontaria di gravidanza», prosegue Annalisa, «ma in pratica, quando mi sono rivolta agli ospedali, ho trovato davanti a me solo obiezioni e rimandi».
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Le dichiarazioni di obiezione di coscienza rappresentano un diritto legittimo, ma la loro diffusione senza un adeguato bilanciamento con le esigenze delle donne crea un contesto di forte disagio. Quante più donne non riescono ad accedere alle cure necessarie, tanto più si intensificano le storie come quella di Annalisa, che sottolineano l’importanza di un supporto medico empatico e informato. In questo panorama, l’intervento di campagne come quella di Medici del Mondo è essenziale per dare voce a chi, come Annalisa, ha vissuto in prima persona le difficoltà legate all’accesso a un diritto fondamentale.
L’impatto delle strutture sanitarie sulla scelta
Il percorso di Annalisa per interrompere la gravidanza evidenzia chiaramente l’impatto significativo che le strutture sanitarie possono avere sulle scelte delle donne. Dopo la traumatica esperienza al consultorio di Madonna Alta, dove ha subito ostilità e mancanza di ascolto, Annalisa ha affrontato una serie di ostacoli che non si limitano solo alla sua condizione di salute. «All’ospedale di Perugia mi hanno proposto incessantemente l’unica opzione dell’aborto chirurgico, nonostante avessi diritto alla Ru486», racconta. Questa situazione non è un caso isolato, ma riflette una carenza sistemica nelle informazioni e nei servizi disponibili.
Il diritto all’aborto sancito dalla legge 194 spesso si scontra con la realtà concreta delle strutture sanitarie. La percentuale delle strutture che offrono effettivamente l’interruzione volontaria di gravidanza è scesa dal 63,8% del 2020 al 59,6% attuale. Questo calo è preoccupante, soprattutto in un contesto in cui le donne si vedono costrette a cercare aiuto in più strutture per ricevere le cure necessarie. «Dopo diversi tentativi e consultazioni, finalmente ho trovato un ospedale a Pantalla che mi ha offerto l’opzione di aborto farmacologico», afferma Annalisa. La lotta per ottenere le informazioni corrette e l’assistenza adeguata può risultare devastante dal punto di vista fisico e psicologico.
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La testimonianza di Annalisa sottolinea anche l’importanza della formazione e della sensibilizzazione del personale medico. Frasi come “Dovevi pensarci prima!” e “Siamo donne, dobbiamo soffrire” amplificano il dolore di una decisione già difficile. La comunicazione inadeguata e l’assenza di empatia possono avere un impatto profondo sulla salute mentale delle donne, rendendo il loro viaggio già complicato per di più traumatico. Le esperienze di Annalisa dimostrano chiaramente che il sistema sanitario deve evolvere, promuovendo una cultura di ascolto e supporto, per garantire il rispetto dei diritti delle donne e, soprattutto, della loro autonomia nella scelta.
Dati e statistiche sui gravidanze indesiderate e aborto
Ogni anno, nel mondo, si registrano circa 121 milioni di gravidanze indesiderate, secondo i dati forniti da Medici del Mondo. Di queste gravidanze, il 60% si conclude con un aborto, evidenziando la necessità di un accesso sicuro e garantito a tali servizi. Tuttavia, è allarmante constatare che nel 45% dei casi, l’aborto avviene in condizioni non sicure, principalmente a causa di limitazioni nell’accesso ai servizi sanitari adeguati.
In Europa, oltre 20 milioni di donne si trovano a dover affrontare le sfide legate all’accesso all’aborto. Questo dato sottolinea l’urgenza di affrontare le disuguaglianze esistenti e garantire che ogni donna possa esercitare i propri diritti riproduttivi in modo sicuro e informato. La situazione in Italia non è esente da queste problematiche; nonostante la legislazione garantisca il diritto all’aborto, le realtà locali variano notevolmente.
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In Italia, dai dati del Ministero della Salute, risulta che circa 63.000 donne ogni anno decidono di interrompere una gravidanza, ma si trovano ad affrontare un sistema sanitario che spesso non è in grado di fornire il supporto necessario. La percentuale di strutture sanitarie che effettua interruzioni volontarie di gravidanza è scesa dal 63,8% nel 2020 al 59,6% nel 2021, mettendo in evidenza una preoccupante diminuzione delle opzioni disponibili. Inoltre, i tassi elevati di obiezione di coscienza tra i medici amplificano ulteriormente il problema, costringendo molte donne a cercare assistenza in altre strutture, aumentando così il loro stress e disagio.
Questi dati non solo mettono in evidenza la necessità di una riforma nel sistema sanitario, ma evidenziano anche una realtà spesso ignorata: il diritto all’autonomia riproduttiva deve essere garantito a tutte le donne, indipendentemente dalle loro condizioni socio-economiche o geografiche. La testimonianza di Annalisa è solo una delle molte voci che chiedono giustizia, supporto e la possibilità di prendere decisioni libere e informate riguardo la propria salute e il proprio corpo.
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