“This is not a sushi bar”: piatti gratis in cambio di un post su Instagram
di Letizia Dehò
“This is not a sushi bar” è frutto di un’idea innovativa, originale e molto lungimirante. Una catena di ristorazione giapponese che nasce come food delivery, ma che ormai conta ben 5 ristoranti nelle principali aree della città di Milano e che da pochi mesi ha introdotto il sistema di pagamento “del futuro” monetizzando il numero di follower di Instagram. La case history è stata presentata agli Alumni Bocconi il 5 marzo.
Come nasce
“This is not a sushi bar” nasce quasi per gioco nell’estate del 2007: un’intuizione di due colleghi e amici che operavano nel settore della consulenza. Spinti dalla volontà di mettersi in proprio, innovarsi e lasciare la propria traccia nella società, Matteo Pittarello e il collega Lorenzo mettono mano al progetto. La scommessa (molto lungimirante) che si erano posti di vincere è la seguente: in pochi anni da allora la cucina giapponese sarebbe diventata internazionale e il sushi un comfort food, un cibo popolare. Nel 2019 si può dire che la scommessa sia stata vinta, vista anche la crescita esponenziale del numero di ristoranti giapponesi a Milano: da appena 200 ristoranti nel 2007 ad oltre 800 degli ultimi anni.
Le sfide: mercato, sviluppo e concorrenze
Un mercato in continuo e veloce cambiamento, feroci concorrenti e necessità di sviluppo sempre più importanti. Sono questi gli elementi che ogni giorno devono essere affrontati per continuare a diffondere il proprio prodotto e la propria esperienza . E’ un palcoscenico non facile da gestire e che spesso comporta alti e bassi. Durante i primi anni di vita, dal 2007 al 2014, “This is not a sushi bar” ha conosciuto un’importante crescita, proponendo un’offerta molto competitiva sia sul prodotto sia sulla distribuzione : un sushi di alta qualità e di assoluta freschezza e un trasporto delivery veloce ed efficiente. Le difficoltà sono arrivate nel 2014 con la comparsa dei food delivery (Foodora, Deliveroo,..) che hanno dato inizio ad una gara di tutti contro tutti. Nonostante i food delivery siano tutt’ora in forte crescita (stimata 69%) abituando la popolazione al particolare tipo di consumo delivery, ma allo stesso tempo hanno preso grande parte di mercato posseduto dalle aziende già esistenti, accendendo un dibattuto scontro di posizioni.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata versata a novembre 2018 quando la piattaforma Foodora, con cui “This is
not a sushi bar”era in accordi, esce dal mercato italiano, cogliendo alla sprovvista le aziende collaboratrici. Il dibattito sulla posizione da prendere a livello aziendale si è dunque acceso a novembre e ancora ad oggi persistono forti pareri contrastanti: affiliarsi ad un food delivery oppure continuare con le proprie forze diventando una Dark Kitchen (cucine professionali, senza posti a sedere, pensate per preparare piatti destinati esclusivamente alla consegna)?
Link tra digitale e fisico
Digitale e fisico sono due dimensioni di una stessa realtà, due facce della stessa medaglia, spesso considerate distanti e in contrasto tra loro e rivalutate solo negli ultimi anni. Ad uno sguardo più approfondito infatti risultano in stretta connessione e sostegno reciproco. È proprio questo il caso di “This is not a sushi bar” in cui realtà fisica e digitale si fondono in un meccanismo quasi perfetto. Nonostante ci sia la tendenza a focalizzare l’attenzione sugli aspetti che riguardano l’immagine e la vendita online, il negozio fisico svolge un ruolo di importanza non minore: garante, comunicatore di un’immagine anche lanciata in digitale ed un conforto per il cliente che sa dove il sushi viene fatto.
Il risvolto economico di questa realtà dicotomica (digitale-fisico) merita l’attenzione di tutti: in occasione dell’apertura dell’ultimo locale è stato lanciato il profilo Instagram di “This is not a sushi bar” con una strategia ben precisa. In merito si riportano le parole di Matteo Pittarello: “Instagram non per comunicare, ma comunicare Instagram”, cioè Instagram non è stato usato come canale della comunicazione ma come oggetto della comunicazione stessa. In questo modo i clienti, divisi in fasce graduali secondo il numero di follower del proprio profilo, hanno l’opportunità di ricevere gratuitamente alcuni piatti in cambio di un post sul proprio profilo in cui si pubblicizza il locale. I colori, le luci, la carta da parati delle location sono stati studiati apposta per non “sporcare” la propria bacheca Instagram e rendere sempre più “instagrammabili” le foto, facendoci sentire un po’ tutti dei mini-influencer.
Letizia Dehò